Wim Wenders_”PINA”

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di Wim Wenders

“No, non c’era nessun uragano che spazzava il palcoscenico
c’erano solo… persone che danzavano,
che si muovevano in modo diverso da quello che conoscevo
e che mi commuovevano come mai nient’altro prima.”

Wim Wenders
(dal pressbook del film, cinetecadibologna.it)

“Balliamo, balliamo, altrimenti siamo perduti”. Così recita il sottotitolo del bellissimo documentario che il regista Wim Wenders ha dedicato a Pina Bausch, una delle più grandi coreografe della danza contemporanea. Capofila del Tanztheater – termine coniato negli anni Venti e ripreso negli ’60 e ’70 per affermare l’idea di una danza in grado di recuperare una dimensione primordiale di gesto, azione e parola fondendosi con il linguaggio del teatro e delle arti figurative, e in cui il corpo fosse liberato da ogni costrizione e necessità – Pina Bausch ha creato un linguaggio scenico ed espressivo che ha messo al centro del suo lavoro i bisogni e le emozioni umane, dall’amore alla gioia, dall’insicurezza alla paura, dalla sofferenza alla libertà: un “teatro dell’esperienza” che esplora la condizione umana mettendo in scena situazioni emotive a volte anche dolorose e duramente realistiche, ma che coinvolgono profondamente gli spettatori incoraggiandoli a mantenere vivi i sogni, l’amore, i desideri e la speranza.

L’incontro con Wim Wenders avviene nel 1985, quando il regista assiste per la prima volta all’opera dal titolo “Café Müller“, nel quale Pina Bausch danza per quaranta minuti con i suoi ballerini del Tanztheater Wuppertal sulla musica di Henry Purcell. Ne nasce un’amicizia lunga vent’anni e il progetto di un film del quale, nel 2008, ha inizio la preproduzione, con la scelta del repertorio da filmare (“Le Sacre du Printemps”, “Kontakthof”, “Café Müller”, “Vollmond”) per interrompersi un anno dopo alla morte improvvisa della stessa Bausch. Saranno le insistenze dei danzatori e di chi aveva vissuto e lavorato con la coreografa, oltre all’idea di utilizzare la tecnica innovativa del 3D, che spingeranno Wenders a riprendere il progetto e a costruire il film con estratti d’archivio, interviste e scene girate nel contesto urbano e naturale della regione di Wuppertal, e con sequenze tratte dai quattro titoli che erano stati precedentemente selezionati.

“I am not interested in how people move, but in what moves them.”

Come ricorda un membro del Tanztheater, un movimento può esprimere un’emozione e attorno a questo si costruisce la danza. Attraverso le domande rivolte agli artisti, Wenders li invita a gestualizzare i ricordi, secondo il metodo creativo utilizzato dalla stessa Bausch, filmandoli in luoghi diversi della cittadina, conservando nel film lo spirito-presenza della Bausch non solo attraverso le sue sporadiche apparizione ma attraverso i ricordi dei danzatori stessi ripresi in primo piano, mentre la loro voce off racconta nella loro lingua madre il rapporto tra vissuto, ricordo e danza.

Superando il confine tra il palcoscenico e lo spettatore, Wenders effettua le riprese in mezzo ai danzatori, seguendo i loro movimenti e muovendosi con essi , servendosi di una gru telescopica e dell’occhio congiunto di due cineprese; il teatro, l’ambiente urbano e quello naturale diventano così protagonisti della danza, spazio allo stesso tempo reale e virtuale che il 3D ridefinisce e reinterpreta, restituendogli profondità e significato. Vestiti con abiti comuni, completi scuri o semplici abiti da sera, i corpi interagiscono, si integrano o combattono con lo spazio, mentre lo spazio e il corpo si ostacolano o si abbracciano a vicenda. Il corpo che danza acquista nel movimento una sua consapevolezza emotiva, ma sempre incerta e in viaggio dentro una ricerca di sè e del mondo che sembra durare all’infinito.

Quali sono le emozioni che generano un movimento? E quale movimento o gesto può creare un mondo attorno alle emozioni? Wenders ha ridato profondità a questa scrittura di corpi in luoghi urbani vuoti o indifferenti, paesaggi deserti che rammentano il suo amore di fotografo e di regista per gli spazi attraversati in viaggio, che i corpi tentano di recuperare al proprio vissuto emotivo come note di colore che li rendono di nuovo abitati e li illuminano. La danza non cambia fisicamente i luoghi ma la loro immagine, la loro percezione e il loro significato: la danzatrice sulle punte nello stabilimento industriale fatto di tubi e passatoie arrugginite o quella che si muove, ignorata, su un vagone della Schwebebahn, o ancora la coppia che danza sull’aiuola spartitraffico sotto la monorotaia sospesa , agiscono su quello che non è più uno sfondo ma un teatro emotivo: come in un sogno in cui l’ambiente urbano o naturale e il corpo che danza sembrano sognarsi a vicenda. Balliamo, balliamo, altrimenti siamo perduti… perduti dove? Nel mondo, nella realtà, dentro la vita che ha bisogno del gesto che crea, di ciò che spinge l’essere umano a muoversi, dell’emozione che immagina e inventa per gli umani, fragilissimi dei danzanti, un nuovo posto in piccoli e grandi universi.

www.pina-bausch.de
www.cinetecadibologna.it

Pina Bausch (27 luglio 1940 – 30 giugno 2009), ha diretto dal 1973 il Tanztheater Wuppertal Pina Bausch, divenuto famoso in tutto il mondo. Con il termine Tanztheater (teatro-danza), adottato negli anni ’70 da alcuni coreografi tedeschi – tra cui la stessa Bausch – si definisce un progetto artistico che si distacca dal balletto e dalla danza moderna includendo elementi recitativi, come l’uso del gesto teatrale e della parola. Dopo le prime diffidenze, i suoi spettacoli radicalmente innovativi hanno ottenuto un indiscusso successo e numerosi riconoscimenti a livello internazionale. Tra i suoi lavori più famosi, Iphigenie auf Tauris (1974), Orpheus und Eurydike (1975), Ich bring dich um die Ecke(1974), Le sacre du printemps di Igor Stravinsky (1975), Die sieben Todsünden di Brecht-Weill (1976), Komm tanz mit mir e Renate wandert aus (1977), Café Müller e Kontakthof (1978),Vollmond (2006).

Wim Wenders è nato a Düsseldorf il 14 agosto 1945. Esponente di primo piano del Nuovo cinema tedesco con Werner Herzog, Rainer Werner Fassbinder, Edgar Reitz e Alexander Kluge, premiato più volte al Festival di Cannes, vincitore di un Leone d’oro a Venezia e di un Orso d’oro alla carriera al Festival di Berlino, esordisce nel lungometraggio con il film Estate in città (1970), seguito da La paura del portiere prima del calcio di rigore (1971) e La lettera scarlatta (1972). Nel 1973 gira il primo film della sua “trilogia della strada”, Alice nelle città, e successivamente Falso movimento (1975) e Nel corso del tempo (1976). Tra gli altri suoi film più famosi, L’amico americano (1977), Hammett – Indagine a Chinatown (1982), Lo stato delle cose (1982), Paris, Texas (1984), Il cielo sopra Berlino (1987), Fino alla fine del mondo (1991), Lisbon Story (1994), The Million Dollar Hotel (2000), Non bussare alla mia porta (2005), Submergence (2017) e i documentari Lampi sull’acqua – Nick’s Movie (1980), Tokyo-Ga (1985), Buena Vista Social Club (1999), Pina (2011).

 

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