Chiara Bertone – Sulla famiglia, parliamo di pratiche. Conoscere le esperienze di genitori e figli al di fuori dell’eterosessualità

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Nell’ultimo decennio abbiamo assistito in Italia ad un cambiamento profondo rispetto alla visibilità e alle prospettive di riconoscimento sociale e giuridico delle esperienze di genitorialità non eterosessuali, anche se questo riconoscimento manca ancora nelle leggi italiane. Abbiamo anche assistito ad una rivoluzione nella ricerca: da un sostanziale vuoto di conoscenza, al moltiplicarsi di indagini e pubblicazioni. I ricercatori hanno compreso quanto le esperienze delle famiglie omogenitoriali possano aiutarci a capire più ampiamente come stanno cambiando, e come cambieranno, le famiglie. Ma un’altra fonte importante di questo interesse deriva dall’urgenza delle domande di conoscenza di chi nel proprio lavoro può incontrare queste esperienze: insegnanti ed educatori, assistenti sociali e altri operatori dei servizi socio-sanitari, psicologi, avvocati.
Nel costruire questa conoscenza, nel fare formazione, ci sono però diversi dilemmi da affrontare. Come possiamo parlare di famiglie omogenitoriali, di loro caratteristiche e bisogni specifici, senza appiattirci sulla definizione di una categoria che semplifica e confina le esperienze in determinate storie raccontabili?
Un rischio è infatti quello di applicare alle “famiglie omogenitoriali” un orientamento classificatorio che reifica le differenze ed è incapace di dar conto della varietà e multidimensionalità delle relazioni di intimità, cura, affetto in cui sono coinvolte le persone. Non c’è un insieme definito di “famiglie omosessuali” contrapposto a “famiglie eterosessuali”, come non c’è un solo tipo di “vecchia famiglia” del passato da contrapporre alle “nuove famiglie”.
Un altro rischio è quello di collocare le esperienze familiari “diverse da” ciò che è considerata la normalità eterosessuale in una narrazione vittimizzante, che legittima un impegno per il loro sostegno ed inclusione per proteggerle dalle discriminazioni, ma mantiene le gerarchie tra chi accetta ed aiuta, e chi è accettato ed aiutato. Le esperienze di discriminazione e sofferenza diventano in questo modo un biglietto d’ingresso morale per essere riconosciuti e ammessi nella comunità dei “normali”. Attivando questa narrazione, si rischia dunque di riprodurre un sostegno alle esperienze familiari di gay e lesbiche da una posizione di privilegio eterosessuale che non viene sostanzialmente messo in discussione, e che ne delimita normativamente i confini. Anche guardando la questione da un’altra prospettiva, nell’individuare il proprio compito come quello di aiutare (le famiglie “diverse”) a vivere una vita più felice, si assumono implicitamente i contorni normativi di questa felicità, che tendono ad essere quelli della rispettabilità familiare o, nell’immagine proposta da Sara Ahmed, di un posto alla tavola dell’eteronormatività.
A fronte di questi rischi, possiamo esplorare quali possibilità ci sono di sottrarsi all’approccio classificatorio. Una di queste è la prospettiva teorica delle pratiche familiari, proposta in Gran Bretagna da David Morgan ed utilizzata anche in Italia nelle ricerche sulle famiglie omogenitoriali (cfr. il volume Legami possibili. Ricerche e strumenti per l’inclusione delle famiglie LGB, a cura di Federica de Cordova, Giulia Selmi e Chiara Sità, uscito nel 2020 per Edizioni ETS).
In questa prospettiva, nel definire la famiglia si sposta l’attenzione da “cos’è la famiglia” a “come si fa famiglia” nella vita quotidiana: come interagiamo con le persone a noi care, a quali legami di affetto, solidarietà, cura attribuiamo importanza, a quali diamo il significato di famiglia. Con questo passaggio si può spiazzare un conflitto politico che in Italia si gioca fortemente sul potere di definire cos’è la famiglia, quali sono le sue funzioni ed i suoi confini. Si può riconoscere l’importanza che l’idea di famiglia – del fare famiglia – ha per le persone e, al tempo stesso, la fluidità, il carattere negoziato e variabile dei suoi confini e dei suoi significati.
Questa prospettiva consente anche di leggere la crescente diversità delle esperienze genitoriali non tanto come assenza di responsabilità, come forme di egoismo – un’accusa che spesso risuona più o meno implicitamente verso chi diventa genitore al di fuori di una relazione eterosessuale. Esplorando come le persone si orientano nel quotidiano, si scopre come, indipendentemente dalle configurazioni familiari, tenda a restare forte, nell’orientare i comportamenti, il senso di obbligazione rispetto ai bisogni delle persone a cui si è connessi da legami di affetto e sostegno reciproco.
L’attenzione alle pratiche consente infine di evitare la separazione a priori tra la famiglia e gli altri contesti sociali: le pratiche familiari non sono limitate allo spazio domestico, ma investono dimensioni di esperienza trasversali a contesti diversi. Morgan propone di vedere ‘la famiglia’ come un colore primario, limitatamente interessante di per sé, ma che diventa più significativo combinandosi variamente con altri colori. Ed è su questo piano che bisogni e caratteristiche specifiche delle famiglie omogenitoriali sono importanti da identificare, perché il modo in cui genitori e bambini si confrontano con le istituzioni – se trovano o, più spesso, devono costruirsi spazi di riconoscimento, oppure devono confrontarsi con invisibilizzazione e ostilità – diventa parte di come fanno famiglia, della fatica che si trovano a fare nel creare un senso di famiglia e nell’organizzare la vita quotidiana.
Guardare a come le persone fanno famiglia, dai piccoli gesti di tutti i giorni alle pratiche collettive di rivendicazione di diritti, ci può quindi consentire di cogliere sia le specificità nelle esperienze del fare il genitore al di fuori dell’eterosessualità sia la loro grande variabilità, ma ci può anche aiutare a smontare l’idea stessa che esista una genitorialità eterosessuale con confini ben definiti, tappe scandite, significati invariabili. Insomma, ci può aiutare a capire meglio la vita famigliare nella sua inevitabile eccedenza rispetto alle categorie che si tenta di imporle.

 

Chiara Bertone.
Chiara Bertone è professoressa associata in Sociologia dei processi culturali, insegna Sociologia della famiglia e Sociologia del genere e coordina il Corso di Laurea in Servizio Sociale presso l’Università del Piemonte Orientale. Si occupa di sessualità, studi critici sull’eterosessualità e mutamenti familiari in una prospettiva di genere. Sta lavorando a un progetto su pratiche e aspirazioni di solidarietà tra donne fuori dalla coppia nella mezza età.
Partecipa alla Rete Gifts (Studi di Genere, Intersex, Femministi, Transfemministi e sulla Sessualità) e ha coordinato il Research Network Sexuality dell’ESA. Tra le sue pubblicazioni, i volumi Whose Needs? Women’s Organisations’ Claims on Child Care in Italy and Denmark (Aalborg University, 2002) e Le omosessualità (Carocci, Roma, 2009) e la co-curatela di Queerying families of origin (Routledge 2015), Le fragilità del sesso forte (Mimesis 2016) e del SAGE Handbook of Global Sexualities (2020).



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