Le mani della Zdora

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Ci sono cose che partono da lontano. Tradizioni, che affondano le loro radici nella notte dei tempi e che, generazione dopo generazione, crescono e si rafforzano, curate ed annaffiate da ricordi che diventano momenti del presente, vissuti e tramandati. Tradizioni che ci diconono da dove veniamo e che, a volte, ci aiutano a capire meglio verso dove possiamo dirigerci. Tradizioni che, come nella migliore tradizione, hanno bisogno di qualcuno che le tramandi, che tenga accesa la loro fiamma, che le racconti e le viva. La tradizione di cui parliamo qui, in particolare, ha bisogno di esperienza, voce e mani per essere tramandata. L’esperienza giusta per conoscere trucchi e segreti, imparati nel corso degli anni, osservando sempre più da vicino le tradizioni che prendevano forma tra il tuler e le nuvole di farina. La voce per raccontare come si può mantenere viva una tradizione, passo per passo, impasto dopo impasto, chiusura dopo chiusura. E le mani, beh, senza dubbio ci vogliono le mani di una Zdora.

Arriva un momento in cui le mani della Zdora sono il centro di tutto, il punto focale in cui si concentrano gli sguardi, l’unica cosa che si muove nella stanza, sospesa in un silenzio attento. Le mani della Zdora gesticolano, spiegano, raccontano. Impastano, riempiono, chiudono. E poi ripetono il gesto quasi all’infinito, capelletto dopo cappelletto, vassoio dopo vassoio.

Pian piano le mani che stanno intorno si riscuotono, lasciano da parte la meraviglia ed iniziano a ripetere i gesti che la Zdora compie quasi in automatico, sull’onda di un allenamento fatto di anni passati attorno al tavolo. Non da sola, ovviamente. Portare avanti le tradizioni è un lavoro di squadra. Un lavoro che va fatto insieme. Ed è proprio quello che succede: le mani che prima osservavano ora si raccolgono intorno alla Zdora, si scambiano i ruoli, si danno aiuto, ripetono gesti che prima di loro hanno ripetuto in tanti, sempre uguali e sempre diversi, riadattati in ciascuna famiglia per ciascuna mano, per ciascun paese.

Le tradizioni partono da lontano e, prima di arrivare a noi, fanno molta strada e passano in molte mani. Ogni casa, ogni famiglia, ogni tavolo ha il suo modo di interpretare la tradizione. I gesti possono essere differenti da pianerottolo a pianerottolo. Ogni Zdora ha il suo metodo, ed ogni metodo è quello giusto, perché, alla fine, tutti conducono allo stesso risultato. Impastare, riempire, chiudere e ripetere il gesto per tramandare qualcosa ad una nuova generazione. Non soltanto qualcosa di meccanico, un gesto o una ricetta, ma qualcosa di più profondo. Alla fine, forse, ciò che insegnano veramente le mani della Zdora non è quanta farina va aggiunta ad un certo punto, se nella pentola in cui cuoce il ripieno ci vuole il sale o come vanno conservati i caplét appena fatti. A guardar bene, quello che insegnano veramente è che, quando si parla di caplét, ciascuno ha il suo metodo, ma, per farli, esiste un modo soltanto. Insieme, intorno ad un tavolo, come una volta.


Nel novembre 2017 Vanessa Ramadan e Giovanni Di Raimo, due creativi di Reggio Emilia, fondano Zdora ed organizzano il primo corso “Save the Caplét”. Da allora, attorno ai tavoli dei corsi “Save the…” hanno continuato a raccogliersi persone, per impastare, riempire, chiudere e ripetere i gesti di una tradizione che rinasce di giorno in giorno, di casa in casa.


Contatti:
zdora.it
IG: @savethecaplet
FB: facebook.com/savethezdora
savethezdora@gmail.com

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