Uomo e terra, una simbiosi da rigenerare

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di Paolo Pileri

Tra le molte definizioni di simbiosi, quella che afferma si tratti di una associazione più o meno intima, obbligata o facoltativa, tra specie anche diverse, ci permette di far rientrare la relazione tra uomo e terra proprio all’interno del perimetro di simbiosi. Infatti, l’uomo dipende dal suolo, che gli dà da millenni tutto il cibo (il 97%) che lui ha bisogno. Ma il suolo fa molto di più di questo: assorbe e depura acqua, trattiene tantissimo carbonio che altrimenti diverrebbe anidride carbonica irrespirabile e riscaldante l’atmosfera, è base per la vegetazione grazie alla quale respiriamo, è scrigno di vitale biodiversità (almeno il 25% di tutta quella terrestre; Pileri, 2015), trasforma i rifiuti organici in cibo nutriente per le piante che a loro volta diventano cibo per noi e per molti animali (diversamente saremmo sommersi di cadaveri ed escrementi), è vitale per i cicli biogeochimici di molti elementi fondamentali come carbonio, potassio, azoto, e così via. Tutto quel che fa il suolo contribuisce a generare le migliori condizioni di vita sulla Terra. Senza il lavoro silenzioso e costante del suolo noi non saremmo qua e non vivremmo un giorno di più. Se non è una relazione simbiotica da trenta e lode questa, quale altra?

Eppure, sono quasi sicuro che, elencati come le ho elencati, i doni che il suolo ci fa non sono così noti a tutti. La simbiosi tra noi e il suolo è una simbiosi dimenticata o, più propriamente, ignorata. Siamo in simbiosi con una risorsa preziosissima e non lo sappiamo o non vogliamo saperne. Meno ancora siamo consapevoli della delicatezza sia di quella relazione e sia del suolo e della sua vulnerabilità. Basta poco e quella macchina perfetta smette di funzionare e addio benefici. Sversamenti tossici, eccesso di spandimento dei liquami, abbondante uso di agrofarmaci, disboscamenti con conseguenti dilavamenti erosivi superficiali nelle zone scoscese, compattamenti e tanto altro lo feriscono e minacciano ogni giorno, da decenni e decenni. Ma vi è soprattutto un’azione letale che lo ammazza sul colpo: la cementificazione. E non muore solo il suolo – attenzione –, muore anche la nostra relazione simbiotica con lui e, come diremo, moriamo anche noi un po’ alla volta.

Per addentrarsi in questa simbiosi, dobbiamo premettere che si tratta innanzitutto di una simbiosi asimmetrica: c’è un donatore che non può sottrarsi, il suolo, e un succhiatore che può approfittarne a piacere, l’uomo. Il patto simbiotico che regge questa asimmetria è andato peggiorando nel corso della storia. Inizialmente l’uomo, un po’ per minor necessità, un po’ per scarsità di mezzi e un po’ per maggior rispetto che portava alla terra, considerata sacra da millenni, aveva stabilito una relazione ‘alla pari’, diciamo così, con il suolo. Quanto meno, succhiava a un ritmo inferiore a quello che il suolo ci metteva a rigenerarsi. Insomma: stava al di sotto della soglia di rigenerazione ecologica che ogni risorsa ha, pure il suolo. Così il suolo era in grado di sopportare l’inquilino del piano di sopra. Senza averlo formalmente stabilito, la simbiosi scelta era di tipo mutualistico, quella dove entrambi i partner si rispettano, conoscono i propri limiti e se ne guardano bene dal superarli così che procedono di comune accordo stabilendo un equilibro caro a entrambi e che assicura a tutti una vita lunga e prosperosa. Ma poi qualcosa è cambiato. L’uomo è diventato più svelto e abile. Ha sviluppato macchine e chimica per sfruttare il suolo con più rese e minor fatica. Le macchine hanno anche messo una certa distanza tra sé e la terra, aumentata negli anni via via che la tecnologia è venuta in suo soccorso. Nel frattempo, ha scelto sempre più di starsene in città, espandendole smisuratamente. Così, negli ultimi decenni soprattutto, la sua iniziale relazione mutualistica è andata decisamente sottosopra, perdendo ogni equilibrio.
Aggiungete a questo che l’uomo non ha certo messo a tacere la sua indole egoista nè il sogno grigio di guadagnare sempre di più con sempre meno fatica nè, soprattutto, di vivere di rendita, magari cedendo qualche terreno qua e là alla dilagante città con le sue super strade, le sue ville e villette, la sua logistica e i suoi centri commerciali. Così, il contratto simbiotico originale è mutato come muta un virus ingannando il vaccino: è divenuto di tipo parassitario, dove uno dei due partner, di solito il più piccolo dei due e di due specie diverse, approfitta senza scrupoli dell’altro e ne trae tutti i benefici che può e vuole, disinteressandosi della salute del donatore. Corrisponde proprio al caso più recente della simbiosi suolo-uomo, dove l’uomo veste i panni del parassita. La sua avidità pare essere smisurata, fuori controllo e cieca. La agricoltura è sempre più intensiva, industriale e monospecifica, ovvero con poca o nulla biodiversità e tendente ad appiattire anche la diversità paesaggistica. L’urbanistica è sempre più dilagante e ancor più preoccupante dell’agricoltura perché l’uso che fa del suolo è irreversibile: costruirci sopra strade ed edifici, sigillandolo quel che c’è sotto. Il consumo di suolo, perché è di questo che si tratta, è una vera e propria piaga per il suolo in quanto lo uccide in modo definitivo. Non c’è scampo.

Il suolo è uno strato sottile e superficiale di terra (decine di centimetri, non di più) il cui stato vitale dipende da chi è sopra di lui. Se sopra vi è un bosco, il suolo sotto vive al meglio. Se sopra vi è asfalto impermeabile, il suolo non riceve più nulla, né acqua, né aria, né sole, né nutrienti e quindi muore. È il top della negatività della relazione parassitaria tra uomo e suolo: tiranno il primo e servo muto il secondo. Un tiranno che, pur di usare smodatamente la sua sega finisce pure per tagliare il ramo sul quale è seduto. È certo che riuscirà nel suo intento, ma è altrettanto vero che il suo successo sarà anche la sua fine. Libera e sfacciata come è oggi, la simbiosi parassitaria tra uomo e suolo è, immancabilmente, anche la rappresentazione della stupidità del primo. Ma, in natura nessun parassita è così sprovveduto da uccidere la sua vittima, perché sa bene che morirebbe anche lui. Qui no. Nonostante l’uomo sia la specie più colta e intelligente, egli riesce a non capire che deve darsi dei limiti, quelli che qualunque ospite si dà in casa d’altri, rispettando quelle regole ‘naturali’ che gli consentono di stabilire ottimi e duraturi equilibri con l’ambiente. Anzi è probabilmente la sua arroganza di essere il più sapiens tra tutti a fargli credere che può non darsi dei limiti e che sarà in grado di trovare sempre una soluzione. In realtà l’egoismo lo acceca giorno dopo giorno assieme all’ignoranza acquisita non studiando a dovere l’ambiente dove vive da ospite. Se ignoranza ed egoismo si mettono assieme il destino si fa più tragico e meno correggibile e più imprevedibile negli effetti. Si deve sapere che il cambio d’uso dei suoli, e il suo consumo, sono tra le piaghe del nostro tempo (Rockström, 2015), ancor più negli ultimi decenni dove la popolazione non cresce più come un tempo e quindi ha sicuramente meno bisogno di nuovi edifici, men che meno asfaltando terreni fertili.

Le nostre città sono talmente piene zeppe di aree già urbanizzate e abbandonate da tempo, che potrebbero tranquillamente assolvere a tutte le fantasie urbanistiche e architettoniche della società contemporanea. E così, in Italia si continuano a consumare suoli agricoli al ritmo di 2 m2/secondo (Munafò, 2020) e, irresponsabilmente, si rimanda l’elaborazione di una legge nazionale per frenare la propria fine. L’Italia, infatti, non ha una legge per frenare l’urbanizzazione, anche se, a parole, tutti i politici dicono il contrario e fingono di aver fatto grandi sforzi per cercare di approvarne una. Nel mentre, alcune Regioni hanno scribacchiato qualche leggiucchia cercando di far credere che era la miglior cosa fattibile. Ma l’esito è stato pessimo al punto che, proprio in quelle Regioni che si vantano delle loro leggi anti-consumo di suolo, il consumo è cresciuto o non è diminuito per nulla: Veneto, Lombardia, Emilia-Romagna (Munafò, 2020).

L’amara conclusione è che il nostro parassita pare non volerne sapere di simbiosi mutualistica. Lui vuole fare come gli pare e piace. Gli viene facile girare la testa dall’altra parte, fingere di non sapere, dire che ci sono cose più urgenti di cui occuparsi, dimenticare la fragilità del suolo, non sentire il bisogno di riformare urbanisti, politici e tecnici affinché imparino che si può fare buona urbanistica senza neppur sfiorare la terra. A riprova di tutto questo l’uomo che fa per dimostrare la sua sensibilità ecologica? Mette a puntino programmi pazzeschi e dal nome incoraggiante, Next Generation o Rivoluzione verde, dove però la tutela del suolo non trova spazio. Abbagli o reiterazione di reato? Probabilmente solo la conferma di un processo di dissociazione cognitiva che dura da tempo, mascherato da parole come innovazione o sostenibilità o compromesso o mediazione, a seconda della circostanza. Davanti a quelle parole magiche, pochi si chiedono se quella lista miliardaria di interventi di ripresa post pandemia ci toglierà altra terra da sotto i piedi. E quei pochi vengono subito etichettati come ‘incontentabili’ od ostinati dissenzienti. Eppure, servirebbe poco a tranquillizzarli: basterebbe dire che tutta quella rivoluzione green non consumerà neppur un metro quadrato di suolo. Semplice, no?

Tirare in ballo un concetto come la simbiosi è quanto mai appropriato per sfidare questo tempo. Facciamo bene a ricordare all’uomo il patto originale che lo lega alla natura e che contravviene da tempo. Facciamo bene a chiedergli di anticiparci le prove delle sue brillanti soluzioni tecnologiche con cui prova a rinnovare il nuovo contratto simbiotico con la natura e il suolo. Non basta dire Agricoltura 4.0 o smart city per dimostrare di esser cambiato. Non è infatti la città a dover diventare più intelligente e l’agricoltura più precisa, ma è da lui, l’incallito parassita, che ci aspettiamo più intelligenza e meno avidità. È lui che deve cambiare, ovvero noi. La fissazione per la crescita economica non può più essere il flauto magico con cui incantare le generazioni. Accelerare, accelerare e ancora accelerare non può essere l’unico modo per arrivare a destinazione (e dove, poi?). Ogni viaggio, per essere sicuro, richiede di usare acceleratore e freno assieme. Diversamente ci si schianta. Ai tempi dell’antropocene non c’è da scherzare. Siamo proprio sicuri di voler continuare la corsa accelerata di sempre? Non è che dobbiamo frenare un po’?
Di quale altro shock abbiamo bisogno per prendere le distanze dal modello economico della normalità di prima e pensare meglio cosa fare per domani, dimostrando di essere dei sapiens leali e davvero intelligenti, capaci di schiacciare il pedale del freno e iniziare a rimettere molte cose a posto. Dipende da noi iniziare la virata da parassitismo a mutualismo e, ancor più, dipende dal coraggio di chi tra noi ha una qualunque responsabilità pubblica di governo e di formazione culturale. È dura, ma si può e si deve.

Bibliografia citata

Munafò, M. (a cura di), 2020. Consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici. Edizione 2020. Report SNPA 15/20
Pileri P. (2015), Che cosa c’è sotto. Il suolo i suoi segreti le ragioni per difenderlo. Altreconomia
Rockström J. e Klum M. (2015), Grande mondo piccolo pianeta. La prosperità entro i confini planetari, Edizioni Ambiente

Paolo Pileri

Docente di Pianificazione e Progettazione Urbanistica e Territoriale al Politecnico di Milano, è membro di gruppi di ricerca nazionali e internazionali e consulente scientifico di ministeri, enti pubblici, fondazioni e amministrazioni locali. I suoi interessi di ricerca sono da sempre orientati allo studio delle questioni ambientali nella pianificazione urbana e territoriale attraverso il tema principale del suolo come paradigma della nostra capacità di progettare la città sostenibile. Accanto a questo tema, da sempre si occupa di lentezza ovvero di mobilità lenta e in particolare di pianificazione e progettazione di cammini e lunghe ciclovie turistiche. È ideatore e responsabile scientifico di VENTO, un progetto di territorio attraverso una dorsale cicloturistica tra VENezia e TOrino di 700km lungo il Po.  Autore di oltre 350 articoli su riviste nazionali e internazionali e di numerosi libri, tra i quali Amor Loci (2012, Cortina), Che cosa C’è Sotto (2015, Altreconomia), Il suolo sopra tutto (2017, Altreconomia), 100 parole per salvare il suolo (2018, Altreconomia), Progettare la lentezza. Linee antifragili per rigenerare l’Italia a piedi e in bici (People, 2020). Dal 2016 è editorialista per la rivista «Altreconomia» con la rubrica mensile “Piano Terra”



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