Incontri! Arte e persone
Intervista a Luca Manfredi
Luca Manfredi, classe 1962, fotografo di moda conosciuto e stimato nell’ambiente, scatta per Liu Jo, Diesel, Twin Set e molti altri. Il primo incontro con la fotografia è stato all’età di otto anni, a fianco del padre in camera oscura nello sviluppo di alcuni negativi. L’eccitazione di vedere emergere immagini dall’oscurità l’ha legato indissolubilmente alla fotografia. Poi il praticantato al fianco di fotografi di moda e la scelta di quel mondo così affascinante, ma anche difficile e selettivo, come luogo eletto per la propria professione.
Ma dietro quelle foto creative, esteticamente perfette e accattivanti, c’è anche un fotografo appassionato di reportage, che ha documentato con crudezza la comunità sinta di Saintes-Maries-de-la-Mer durante la processione di Saint Sarà, o i bambini irlandesi gipsy nel suo recente libro “Pavee kids ireland”.
La vita gli ha riservato, non solo riconoscimenti e fama, ma anche difficili prove: un figlio con disabilità, che gli ha fatto conoscere un mondo inaspettato. Giorno dopo giorno ha sentito l’esigenza di fare suo questo mondo, di nutrirsi di quella ricchezza umana che la disabilità offre e allo stesso tempo di donare, attraverso l’obiettivo, la sua ricchezza creativa ai soggetti fragili.
“Incontri! Arte e persone” è un progetto di Reggio Città senza Barriere “B. Diritto alla bellezza” che lavora sull’incontro tra creatività e fragilità, nella convinzione che questo possa essere generativo di nuove opportunità di inclusione sociale. Il processo fotografico diventa lo strumento prescelto per abbattere le distanze, accettare le differenze e creare nuovi ponti di dialogo. Un progetto multidisciplinare che ha come punto di partenza un sogno: la creazione di una stanza immaginaria, uno spazio ideale frutto della fantasia dei partecipanti, nutrito dai loro bisogni più intimi e in dialogo con il suggestivo patrimonio di Palazzo dei Musei.
MM: Luca cosa ti ha portato ad accogliere la sfida e a metterti in gioco con la tua professione in questo insolito incontro?
LM: In realtà era da tempo che volevo fare qualcosa “per” e “con” la disabilità. Sono rimasto particolarmente colpito dai progetti realizzati con Antonio Marras ed Emanuele Sferruzza Moszkowicz all’interno del percorso “Incontri”, in cui la contaminazione tra arte e disabilità ha portato a risultati di altissimo livello. Così, anche con l’appoggio e l’entusiasmo dei miei assistenti, ho accolto con grande piacere la proposta. Il progetto è poi diventato un laboratorio vero e proprio che mi offre ad ogni incontro nuove opportunità di sperimentazione e di scambio.
MM: Quando hai iniziato questo percorso avevi un immaginario di riferimento. Sono ormai trascorsi più di due mesi dall’inizio, cosa non ti aspettavi da questi incontri?
LM: Sinceramente pensavo sarebbe stato un percorso molto guidato, durante il quale avrei semplicemente realizzato e messo in scena i desideri delle persone con fragilità di dare forma al loro immaginario, invece è molto di più; il dialogo con loro, il loro sguardo, mi apre ogni volta panorami inaspettati e mi obbliga ad accogliere nuovi punti di vista.
Sono stato privilegiato ad avere come partecipanti persone come Sara, Marco, Edoardo, Davide, Tania e Franco, perché ognuno di loro ha potenzialità e risorse sorprendenti. Con la disabilità è essenziale superare la paura dell’incontro, dopo, tutto è più semplice.
MM: Dal punto di vista creativo questa esperienza ti sta insegnando qualcosa?
LM: Nella moda un giorno di campagna pubblicitaria determina e implica risorse economiche enormi, vendite per tutta la stagione, incassi per l’azienda; pertanto bisogna avere l’istinto e la prontezza di risolvere ogni problema e ottenere scatti perfetti. Qui invece ho imparato ad aspettare, a concedere e concedermi tempi lunghi per capire lo sguardo delle persone con fragilità ed entrare in dialogo con loro. Ogni volta che rientro dal laboratorio porto a casa stimoli nuovi per il mio lavoro, ad esempio un’ottica distorta, come il fisheye. Inoltre ho imparato che queste persone non hanno i piedi per terra: c’è chi vive sulla luna, chi nel mare, chi nell’aria. La cosa bella è il consolidarsi, volta per volta, di una quotidianità ricca e inaspettata. Devo loro molto.
Ma di una cosa sono certo: meritano delle opere d’arte, e gli scatti finali saranno splendidi come loro.
Durante il laboratorio le persone fragili possono attingere con grande libertà agli oggetti delle vetrine del Museo per realizzare e comporre originali “display” in cui gli elementi acquistano significati inconsueti . Il tutto trasformato dallo sguardo creativo di un grande fotografo dove l’obiettivo è il medium, che aiuta quotidianamente a guardare la realtà con occhi diversi. Il progetto, iniziato ad ottobre, si concluderà in primavera con la realizzazione di alcuni scatti che restituiranno, con fotografie di grandi dimensioni, lo spazio concreto, intimo ed immaginario di ciascun partecipante, arricchito dal lavoro corale di un gruppo sempre più affiatato.
Maria Montanari