Speciale Pippo Delbono

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Pippo Delbono, autore, regista di teatro e cinema, attore, tra le personalità più apprezzate anche all’estero, nel panorama contemporaneo teatrale, prende parte al cartellone #laculturanonsiferma, presentato dalla Regione Emilia-Romagna in collaborazione con ERT.
Artista di casa in ERT, Delbono dona quattro degli spettacoli realizzati con la sua omonima Compagnia – Questo buio feroce(2006), Dopo la battaglia (2011), Orchidee(2013) e Vangelo (2016) – che raccontano, attraverso un arco di dieci anni circa, il suo teatro e i suoi progetti. Un tratto distintivo delle sue opere è la partecipazione di persone provenienti da situazioni sociali di emarginazione, diventati membri stabili del gruppo di lavoro dando vita a un’esperienza scenica unica: una commistione poetica di immagini, scrittura originale, musica e danza. Questi lavori hanno avuto un percorso di lunghe tournée in tutto il mondo con teatri pieni e oggi, in via straordinaria, sarà possibile vederli in versione integrale dalle proprie case.

Aggiungiamo anche una intervista a Pippo Delbono uscita sulla gazzetta di Modena Il 20 aprile in cui l’artista fa alcune riflessioni su come sta vivendo questo periodo e sul futuro del teatro. I video resteranno disponibili sul sito di ERT fino al 31 maggio.

QUESTO BUIO FEROCE:

durata 1 ora e 20 minuti

Una stanza bianca. Vuota. Una scatola senza finestre. Tagli di luce dall’alto. Un battito di un cuore che pulsa forte, sempre più forte. E poi scompare. Esseri umani sconosciuti tra di loro. Alieni. Di un tempo futuro e di un tempo passato. Eleganti. Dai vestiti antichi e alla moda. Il viso bianco. Riproducono giochi. Di adulti. Sadici. Violenti. Crudi. Salò, il film sacro di Pasolini sulla bestialità dell’essere umano. Questo buio feroce. Esseri umani. Persi. Isolati tra loro. Si cercano. Si trovano. Si perdono. Di nuovo.«Ognuno traccia intorno a sé un cerchio magico e lascia fuori tutto quello che non si adatta ai suoi giochi segreti». Esseri Umani. Che gridano. Che piangono.Come bambini. Incoscienti. Perduti. Un gioco che si allarga verso quelli che li guardano nella platea. Lo spazio che li divide da loro scompare. Il cerchio magico si allarga. E poi si richiude di nuovo. Come una pietra gettata in un lago. Che crea altri cerchi. Cerchi che si moltiplicano, si accavallano, ritornano, scompaiono. Come le note di una musica che si ripetono uguali e diverse. Un polmone vivo sotto l’acqua apparentemente ferma. Che pulsa. La pietra sopra il cuore. Il battito del cuore sotto la pietra. Una breccia feroce di luce come i tagli di luce nei drammatici visi del Caravaggio. Voglio gente per rincorrere con me la luce. È un’esplosione. Un concerto rock. Una catarsi. Una rivolta. Rompere i muri con un grido che squarcia la tela come nei quadri di Frida Kahlo la pittrice messicana che dipingeva la sua carne ferita.O i corpi grassi dei torturati nei dipinti del colombiano Botero. Dilaniati. Da un paese in guerra da anni, da molti anni. Da sempre. E i fiori che spuntano ancora da quella carne. Morta. «Per un minuto di vita, per un minuto vedere nel cervello piccoli fiori». I fiori rossi sempre più fiori da sempre più ferite. Luce sempre più luce nonostante il buio. «Vedere piccoli fiori che danzano come parole sulla bocca di un muto». Ancora, ancora voglio scrivere d’amore.

Pippo Delbono


DOPO LA BATTAGLIA:

durata 1 ora e 50 minuti

Dinanzi all’ultimo lavoro di Pippo Delbono ci ritroviamo come all’inizio di un viaggio visionario, sulla soglia di una sequenza di quadri, nel corpo di una drammaturgia che ci mostra, senza falsi pudori, la verità della follia. Dopo la battaglia è una composizione che spalanca le porte del nostro buio esistenziale, sfociando in flusso continuo, trapassandone lo spazio. Trovando il ritmo proprio della danza e della musica, cercando nelle parole e nei versi l’accordo di emozioni e linguaggi, trasfigurando il dolore del presente nella fede nel futuro. Gli attori della Compagnia Delbono irrompono continuamente nell’inatteso, in un mare in perenne metamorfosi, dove la salvezza possibile avviene dopo l’ineludibile naufragio. Accompagna questo viaggio una presenza nuova, la danzatrice Marigia Maggipinto, già storica componente della compagnia di Pina Bausch. Delbono fiancheggia e sospinge i suoi compagni sulla scena di uno spazio neutro, uno spazio-mente grigio, crocevia del nostro immaginario, dove scorrono le figure del nostro mondo, dove vivono i vizi e le miserie di un popolo ingabbiato e cieco, le cui mosse si fanno automatiche. Vi riecheggiano, in un rito laico e sacrale, brani tratti da autori come Antonin Artaud, Franz Kafka, Alda Merini, Pier Paolo Pasolini, Walt Whitman, Rainer Maria Rilke, Alejandra Pizarnik riscritti da Pippo Delbono. Scena di versi e parole che accade sulle note di Giuseppe Verdi, Niccolò Paganini, Pëtr Ilic Cajkovskij e le cui note si intrecciano alla musica originale, eseguita dal vivo di Alexander Balanescu, violinista, compositore contemporaneo, interprete della nuova musica a cavallo tra primo e secondo millennio. Uno spettacolo che rappresenta una tappa importante nel percorso artistico di Delbono, che immette una linfa diversa nel suo linguaggio, puntando su effetti video e atmosfere cinematografiche, su immagini realizzate dallo stesso Delbono con il suo telefono cellulare, a proseguire la sperimentazione del suo La Paura. Nella forma di un teatro espanso, tracciato di corpi e testi, di forme del dire e del rappresentare, di toni che nella musica e nella danza si fanno azioni, verbo incarnato di attori, in un teatro che si fa carne del suo tempo, del nostro tempo.


ORCHIDEE:

durata 1 ora e 50 minuti

«Ancora posso scrivere d’amore» scriveva il poeta Dario Bellezza, grande amico di Pier Paolo Pasolini morto ucciso dall’aids. L’orchidea è il fiore più bello ma anche il più malvagio, mi diceva una mia amica, perché non riconosci quello che è vero da quello che è finto. Come questo nostro tempo.

In Orchidee c’è, come in tutti i miei spettacoli, il tentativo di fermare un tempo che sto attraversando. Un tempo mio, della mia compagnia, delle persone che lavorano ormai da molti anni con me, ma anche un tempo che stiamo attraversando e vivendo oggi tutti noi. Italiani, europei, occidentali, cittadini del mondo. Un tempo confuso dove mi sento, ci sentiamo, in tanti, credo, sperduti… Con la sensazione di aver perduto qualcosa. Per sempre. Forse la fede politica, rivoluzionaria, umana, spirituale. Orchidee nasce anche da un grande vuoto che mi ha lasciato mia madre quando è partita per sempre. Mia madre che dopo i conflitti, le separazioni, avevo rincontrato per ridiventare amici. Io, un po’ più grande un po’ più saggio, lei vecchia ritornata un po’ più bambina. E così il vuoto. Il sentirsi non più figlio di nessuno. Il vuoto dell’amore. Ma Orchidee nasce anche da tanti vuoti, da tanti abbandoni. Il vuoto che viviamo nella cultura, nell’essere artisti perduti. Il teatro che spesso sento un luogo diventato troppo polveroso, finto, morto. La menzogna accettata, della rappresentazione teatrale. Ma Orchidee parla anche del bisogno vitale di riempire quel vuoto. Parla del bisogno di ricercare ancora, altre madri, altri padri, altra vita, altre storie. E poi stranamente le parole “importanti” del teatro che volevo abbandonare mi sono ritornate addosso e hanno ritrovato un loro senso nuovo, incastrate con la mia vita. E anche la mia vita forse è diventata con quelle parole, la vita di tanti altri. Credo che Orchidee rappresenta per me quel bisogno vitale, incontenibile, di continuare ancora nonostante tutto a scrivere, a parlare dell’amore.

Pippo Delbono


VANGELO:

durata 1 ora e 30 minuti

«A pensarci bene, Cristo è l’unico anarchico che ce l’ha fatta» ha scritto André Malraux. Qualche giorno prima di morire mia madre, fervente cattolica, mi ha detto: «Perché, Pippo, non fai uno spettacolo sul Vangelo? Così dai un messaggio d’amore. C’è n’è così tanto bisogno di questi tempi». E io ho pensato subito alle recite che facevo da piccolo nella parrocchia, dove interpretavo Gesù bambino coi riccioli biondi, innamorato anch’io come lei di quel mondo di preti, di chiese, di incensi, di rappresentazioni teatrali. E poi mi è venuto in mente quando da grande ho recitato ancora Dio, in un film di Peter Greenaway. Ma questa volta facevo anche il Demonio. E Lot, che faceva l’amore con le sue figlie e imprecava contro Dio e il Demonio. Un personaggio in quel film diceva: «Non è Dio che ha creato l’uomo, ma è l’uomo che ha creato Dio». E ho pensato a tutte le conquiste, le stragi, le guerre, le menzogne, le false morali create per quell’ipotesi di Dio. Ma anche alla bellezza, all’arte, e alla poesia che quell’idea di Dio ha portato in questi duemila anni. E a quello che diceva Marx: «La religione è un sospiro dell’anima in un mondo senz’anima». E così ho iniziato a filmare e a fotografare le immagini che ho incontrato nei miei viaggi in Italia, in Francia, in Romania, in Russia, in America Latina. Immagini di Madonne, di Cristi, di martiri. Ovunque trovavo qualcosa che aveva una relazione con quella storia. Ovunque ho visto Cristi dai volti dolorosi, seri. Molto poco ho visto la gioia nei volti di quei Cristi. Mi sono sentito come in prigione. Ho avuto un senso di rifiuto profondo per tutta quella iconografia buia, pesante, sofferente legata a quel Vangelo. E così mi sono perduto, come faccio sempre quando costruisco i miei spettacoli, dimenticando quel Vangelo, o forse portandomi dietro di quel Vangelo solo il nome. E sono finito a incontrare persone che erano arrivate in mare dall’Africa e dal Medio Oriente, attraversando oceani ma anche deserti, frontiere, carceri, muri. Ho incontrato anche degli zingari, che abitavano in luoghi di totale degradazione. E ho iniziato a stare con quei profughi, a conoscerli, a condividere con loro la vita. Li ho ospitati da me, e loro mi hanno ospitato nel loro centro di accoglienza. Abbiamo condiviso le storie, il cibo, il tempo. E poi ho iniziato a cercare paesaggi, mari, tramonti, cieli che mi raccontassero miracoli, luce. «Quei calci lanciati verso il cielo – scriveva Pasolini guardando i ragazzi giocare a pallone – ci insegnano a lanciare i nostri desideri il più lontano possibile, in modo che la gioia del gioco ci accompagni fino alla morte». E poi mi sono trovato a guardare per dieci giorni un crocifisso appeso a un muro bianco, io, inchiodato in un letto di ospedale per una malattia agli occhi. Vedevo doppio e cercavo di mettere a fuoco quell’immagine davanti a me. Vagavo per i corridoi dell’ospedale, cercando di raccontare –ancora una volta con la mia camera- quel mio disperato e grottesco vedere doppio. Come vedo doppio, disperato e grottesco questo tempo che attraversiamo, dove non riconosci più il vero dal falso, il reale dall’irreale, dove l’esasperazione del moderno ci ha fatto dimenticare qualcosa di sacro, di antico. E alla fine mi sono rimaste dentro quelle immagini, quelle voci, quei suoni, quegli echi, quei silenzi sentiti in quei campi di zingari e di profughi, in quelle corsie d’ospedale, ma anche quella forza vitale, quella inspiegabile gioia trovata nei luoghi deputati al dolore.

Pippo Delbono


Pippo Delbono è tra gli artisti più apprezzati e rappresentati in Italia e all’estero. La compagnia omonima nasce nei primi anni Ottanta ed è tuttora attiva con un nucleo stabile di attori che si avvale, volta per volta, di diverse collaborazioni. Un tratto distintivo delle sue opere è la partecipazione di persone provenienti da situazioni sociali di emarginazione, diventati membri stabili del gruppo di lavoro dando vita a un’esperienza scenica unica. Il suo ultimo spettacolo è La gioia; per la prossima stagione è previsto il debutto di una nuova creazione, prodotta sempre da Emilia Romagna Teatro Fondazione.
Tra gli spettacoli teatrali ricordiamo: Barboni (1997) che ottiene il Premio Speciale UBU “per una ricerca condotta tra arte e vita”, Il tempo degli assassini, La rabbia, Guerra, Esodo, Gente di plastica, Urlo, Il silenzio, Racconti di giugno, Questo buio feroce, La menzogna, Dopo la battaglia, Orchidee, Vangelo e La Gioia.
Nel 2003 Delbono realizza il film Guerra (Mostra del Cinema di Venezia e Miglior film David di Donatello 2004); a seguire: Grido (2006), La paura (Festival di Locarno 2009), Amore carne (68° Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia 2011), Blue Sofa, Sangue (66° Festival di Locarno), La VisiteVersaille (2016) e Vangelo (2017). Nella lirica ha firmato le regie: Studio per Obra Maestra (Lirico Sperimentale di Spoleto 2007), Don Giovanni di Mozart (Teatr Wielki di Poznan, Polonia 2014), Cavalleria rusticana e Madama Butterfly (San Carlo di Napoli 2012 e 2014), Passione secondo Giovanni (Massimo di Palermo 2017) e I pagliacci (Teatro di Roma 2018). Realizza con grandi musicisti concerti quali: Amore e carne con Alexander Balanescu, Il sangue sull’Edipo di Sofocle con Petra Magoni, Bestemmia d’amore con Enzo Avitabile e La notteIn Italia ha pubblicato Barboni – Il teatro di Pippo Delbono (Ubulibri, 1999), Racconti di giugno (Garzanti, 2008),Corpi senza menzogna (Barbès, 2009) e Dopo la battaglia – scritti poetico-politici (Barbès, 2011), Sangue. Dialogo tra un artista buddista e un ex terrorista tornato in libertà (Clichy, 2014) e L’uomo caduto sulla terra (Clichy, 2016), e diversi libri sono stati pubblicati sul suo teatro e cinema. Inoltre ha ottenuto il Premio della Critica per Guerra, i Premi Olimpici per Gente di plastica e Urlo e a Wroclaw, Polonia (2009), il Premio Europa.

In copertina, Vangelo foto di Luca Del Pia

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