Il memoir. Dal progetto “Donne che raccontano storie” al nuovo libro di Francesca Avanzini

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Il nuovo libro di Francesca Avanzini riscopre doni e valori del proprio passato aspettando il suo laboratorio e un percorso sulla scrittura delle donne. Un progetto di Daniela Rossi tra Parma e Reggio Emilia lungo un anno.

Doveva essere presentato nel corposo progetto firmato da Daniela Rossi con il sostegno dell’Assessorato alle Pari opportunità del Comune di Parma per Parma 2020, coinvolgendo anche Reggio Emilia e proseguendo durante tutto l’anno con laboratori, incontri con scrittrici fino a concludersi in un premio nazionale di scrittura. “Donne che raccontano storie” è sospeso, come le altre attività, ma conta ripartire dai laboratori, appena possibile, e continuare con la ricezione e successiva pubblicazione di racconti contemporanei di donne. Nella programmazione, era pronto a partire il primo dei laboratori previsti, quello di Francesca Avanzini, una serie di incontri sul memoir.

Si tratta di una scrittura autobiografica ma che punta al riaffondare in epoche precedenti a quella attuale dello scrivente: non un diario, dunque, ma un ripensare a posteriori, raccontando e, spesso, offrendo esperienze personali in chiavi di lettura che possono espandersi e interessare anche chi non è direttamente coinvolto negli stessi racconti.
Se il memoir può sembrare generazionale, cioè appartenente soprattutto a una fascia di scrittrici che hanno vissuto epoche precedenti a quella che stiamo vivendo, sembra invece riproporsi nella sua carica anche terapeutica, di pacificazione o meglio di rilettura di situazioni e fatti a cui normalmente non si pensa più o che già fanno parte del proprio vissuto interiore. In questi tempi di confinamento e isolamento forzato, infatti, la pratica della scrittura appare fortemente consigliata accanto alla lettura e al tempo che giocoforza viene assorbito da pensieri non attivi e non condivisibili in profondità, nonostante i vari mezzi di comunicazione e i social.

Proprio in questi giorni è arrivato dalla tipografia fresco di stampa il memoir, ultimo di una serie di libri della scrittrice Francesca Avanzini,  “Quel che di buono” (ed. Consulta librieprogetti, 2020). Un ritratto puntuale nei dettagli della memoria di bambina, poi adolescente ribelle, fino agli anni in cui la distanza dai genitori impone il tentativo di comprendere, o meglio, accettare, distanze che per anni non si sono superate. Ne risulta così uno spaccato fresco e che scorre rapido negli occhi di chi legge di costumi, usi e dimensioni sociali dalla metà degli anni cinquanta, senza mai cadere in retoriche o insistenze introspettive: lasciando così, al lettore, un margine in cui stabilire parallelismi o ripercorrere esperienze proprie, al tempo stesso rivivendo il sincero dialogo su se stessa proposto dall’autrice.
Corredano il volume, illustrato nella copertina e nel retrocopertina da Elisa Pellacani, due testi di Laura Lepetit (nota per la sua attività in campo editoriale) e di Daniela Rossi (che ha al suo attivo una serie di Festival e pubblicazioni incentrate sul determinante ruolo della donna nella cultura internazionale fin dagli anni 70). Come scrive la stessa Avanzini in una nota, “un giorno mi sono messa alla scrivania e ho cominciato a elencare una parte delle cose buone che mi sono successe. L’elenco si è allungato molto nel tempo, giorno dopo giorno mi venivano in mente altre cose buone. Alcune mi faceva piacere raccontarle per esteso, e così è nato il nucleo del libro.
Parlando delle mie vicende, mi sono accorta che potevo descrivere la formazione della mia generazione, quella nata tra gli anni ’50 e ’60, e spero di averlo fatto con accuratezza ma anche leggerezza”.
Anche se non sarà la stessa cosa che incontrarla di persona, intanto le iscritte al suo laboratorio, e quanti vogliano sperimentare l’intenzione di un messaggio positivo nelle proprie storie personali, possono leggerla…
Oltre che nei siti, e a breve nelle librerie, il volume si può richiedere direttamente all’editore.

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