La danza e la città_Festival Danza Urbana

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di Massimo Carosi,
direttore artistico Festival Danza Urbana di Bologna

La danza può abitare qualsiasi luogo della città. Da questa semplice idea nacque più di venti anni fa a Bologna Danza Urbana – Festival Internazionale di danza nei paesaggi urbani.
Nel 1997 un gruppo di studenti universitari fece la scelta, allora pionieristica, di invitare degli artisti a esplorare le possibili traiettorie che la relazione tra corpo e città apre alla ricerca coreografica e presentò un cartellone di spettacoli concepiti o riallestiti per gli spazi urbani di Bologna.
Nella sua ventennale storia il Festival ha dato impulso a un ambito specifico della scena contemporanea, quello della “danza urbana”, che indaga la relazione tra danza e paesaggio urbano, coreografia e architettura, contribuendo a promuovere un rinnovamento nella danza italiana. Nella danza urbana il paesaggio e i luoghi della città sono a fondamento dell’evento artistico.

Il paesaggio è testimonianza della continua negoziazione tra uomo e natura. È il disegno che il filo del tempo tesse, legando la trama dei saperi e delle attività di una comunità all’ordito dei luoghi geografici che essa abita. È creazione collettiva e costante, che ciascuna comunità attua nella sedimentazione di opere, nella creazione del proprio habitat, e, al contempo, è esperienza soggettiva di quei luoghi.
L’incessante (cre)azione collettiva e individuale, che ridisegna e ridefinisce il proprio ambiente, si nutre dell’esperienza e della percezione quotidiana che ciascuno di noi ne fa. L’intervento artistico può produrre un cambiamento nella memoria dei cittadini, irrompendo nella dimensione quotidiana e provocando una percezione mutata dello spazio/tempo.
Ogni contesto politico, sociale, culturale disciplina attraverso regolamenti, disposizioni, procedure la fruizione degli spazi pubblici, predeterminandone tempi, modi e possibilità di uso, secondo delle priorità di funzione. Un corpo che danza agisce lo spazio in modo creativo, non-finalizzato, disfunzionale; apre un varco rispetto ai comportamenti e alla disciplina che le disposizioni prevedono; trasforma la percezione del luogo e lo risemantizza, offrendo un ampliamento delle sue possibilità di uso. La ritualizzazione dello spazio pubblico, che l’evento produce, consente, quindi, una rinegoziazione continua rispetto ai protocolli e alle discipline definite o ai semplici comportamenti d’uso dello spazio introiettati dai cittadini.

Riappropriarsi dello spazio urbano da parte dei corpi dei danzatori e degli spettatori diventa un atto politico, che reinterpreta e rivitalizza gli spazi. Dei luoghi ordinari si trasformano in spazi temporaneamente straordinari, spazi in cui la ri-semantizzazione appare come provvisoria, ma può invece incidere la memoria dei fruitori e mutarne gli schemi d’uso. In tal senso un corpo che danza è un presidio di democrazia, perché riafferma il diritto alla città teorizzato da Henri Lefebvre. Danzare negli spazi della città offre, inoltre, la possibilità di esplorare nuove dinamiche di relazione tra artista e spettatore, differenti da quella che l’edificio teatrale porta inscritte nella sua forma spaziale e architettonica. La danza urbana dà la libertà agli artisti di creare al di fuori delle convenzioni e dei formati teatrali e di indagare una relazione attiva con il contesto nel quale operano. Introduce nuovi elementi di grammatica nelle arti sceniche, perché sostituisce il concetto di “spazio”, che tradizionalmente incardina l’atto teatrale dentro il meccanismo della rappresentazione, con il concetto di “luogo” che, al contrario dello spazio, identifica un determinato punto geografico e per questo è unico e non intercambiabile. Il luogo per esistere necessita di essere esperito, agito e pone l’atto performativo in stretta relazione con il dato di realtà.

Il cambiamento di paradigma attuato dalla danza urbana determina un rapporto non più gerarchico con lo spettatore, che diviene parte attiva della creazione: il confine tra spazio scenico e spazio della fruizione diviene sempre più labile fino a sparire includendo lo spettatore stesso nell’evento e immergendolo in un’esperienza senza confini e mediazioni.

Questa forma consente di rendere immediatamente disponibile l’arte della danza anche a chi non va mai a teatro. La danza si offre così allo sguardo dei cittadini senza mediazioni, in modo inclusivo, accessibile e diffuso nei luoghi quotidiani della città.

In copertina, foto di Renzo Zuppiroli

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