Antonio Scurati_Festa del Tricolore

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Festa del Tricolore: due momenti di storia nazionale
di Angela Cervi

Nel corso della storia, ci sono momenti nei quali un legame simbiotico tra gli ideali dell’epoca, la forza di una popolazione unita e la sua città possono generare episodi vittoriosi di rivolta contro l’oppressione, così come, al contrario, la rottura dei legami ideali e sociali all’insegna della paura può trascinare un’intera nazione nel periodo più oscuro che la sua storia abbia mai conosciuto. Nel suo intervento in occasione delle celebrazioni per la Festa del Tricolore, lo scrittore e professore Antonio Scurati parla proprio di due momenti storici, di opposta valenza e significato, che hanno coinvolto la nostra bandiera nazionale, adottata 224 anni fa da patrioti italiani come simbolo della lotta per la libertà, per l’autodeterminazione dei popoli e per i diritti civili nel contesto della Repubblica Cispadana, sorta su ispirazione della Rivoluzione Francese e del grande messaggio egualitario e libertario che diffuse in tutta Europa.

Il primo momento riguarda le Cinque Giornate di Milano: l’insurrezione di un’intera città, iniziata il 18 marzo 1848, contro oltre trent’anni di occupazione austriaca, in cui le bandiere tricolore, cucite nottetempo dalle donne con brandelli di stoffa di ogni genere, si consolidarono nell’animo e nell’uso degli Italiani come simbolo di speranza in una nazione libera e democratica che ancora non esisteva. Una popolazione ormai disabituata all’uso delle armi, che non aveva un’organizzazione strutturata e con un armamento irrisorio, insorse spontaneamente contro una guarnigione di circa 20.000 soldati che, dalla roccaforte del Castello Sforzesco, teneva costantemente la città sotto tiro, riuscendo ad avere ragione di quello che era considerato il più potente e disciplinato esercito del mondo di allora. L’insurrezione non coinvolse soltanto tutti i ceti sociali, dalla ricca borghesia agli operai, dagli studenti ai seminaristi, dagli aristocratici alle prostitute, dai vecchi reduci delle campagne napoleoniche ai socialisti. Non solo tutta la popolazione, uomini e donne, si riversò nelle strade come un unico soggetto di rivolta, ma la città stessa, nella sua struttura e in simbiosi con i suoi abitanti, ne divenne protagonista: disselciata, demolita e ricostruita nelle strade, la città insorse a difesa di se stessa, riaggregata nelle più precarie e memorabili opere di edilizia civile, come dirà Victor Hugo, della storia del mondo contemporaneo: le barricate. Le barricate diventarono il simbolo dell’unione tra la città e la sua popolazione – a Milano, di quartiere in quartiere, nel secondo giorno di insurrezione se ne contavano più di mille: costruite con ogni mezzo, con ogni oggetto a disposizione, gettando in strada qualunque cosa si trovasse dentro le case, riflettevano le condizioni di vita dei suoi abitanti ed esprimevano l’unità e la speranza che dava forza all’insurrezione. Da questo evento vittorioso di “magnanima disperazione” e di speranza, il Tricolore non cessò più di essere il vessillo della nazione e dell’aspirazione alla libertà, al rispetto, all’autodeterminazione dei popoli e a tutti gli ideali che ne avevano accompagnato l’origine.

Il secondo momento raccontato da Antonio Scurati è quello in cui la bandiera, non più simbolo di libertà e speranza, venne accostata, durante il fascismo, alle bandiere nere e ai loro emblemi della paura: prima vilipesa e disprezzata dallo stesso fondatore del partito fascista, poi sfruttata come simbolo del nazionalismo, infine messa in ombra dalle scenografie fasciste nelle quali primeggiavano gli infausti vessilli del partito: un passaggio, non solo simbolico, da una politica della speranza a una politica della paura, dove quelle che Antonio Scurati chiama “passioni tristi” – il rancore, la rabbia, il risentimento, il senso di tradimento e di declassamento, la sfiducia negli istituti di democrazia – prendono il sopravvento nella società generando isolamento, paura dell’altro, aggressività, insicurezza e desiderio di essere protetti da “poteri forti”: tutti elementi estremamente congeniali, ieri come oggi e in una situazione di pericolo come quella generata dall’attuale emergenza sanitaria, a una dissoluzione dell’unità e della solidarietà sociale molto rischiosa per la nostra democrazia. A conclusione del suo intervento, Scurati sottolinea poi la necessità di non confondere mai nazionalismo e nazione, ricordando che il nazionalismo è un’ideologia nata dalla paura che genera paura e disgregazione, mentre la nazione è un’entità sempre legata alla speranza e a tutti i valori che hanno determinato la sua nascita.


Antonio Scurati è nato a Napoli nel 1969. Docente di letterature comparate e di creative writing all’Università IULM, editorialista del «Corriere della Sera», condirettore scientifico del Master in Arti del Racconto, ha vinto i principali premi letterari italiani. Ha esordito nel 2002 con Il rumore sordo della battaglia; nel 2005 ha pubblicato Il sopravvissuto (Premio Campiello) e negli anni seguenti Una storia romantica (Premio SuperMondello), Il bambino che sognava la fine del mondo (2009), La seconda mezzanotte (2011), Il padre infedele (2013), Il tempo migliore della nostra vita (Premio Viareggio- Rèpaci e Premio Selezione Campiello). Nel 2006 ha pubblicato il saggio La letteratura dell’inesperienza e nel 2018 M. Il figlio del secolo, primo romanzo di una tetralogia dedicata al fascismo e a Benito Mussolini, con il quale ha vinto il Premio Strega 2019; il secondo, M. L’uomo della provvidenza, è stato pubblicato nel 2020.



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