A scuola di “pensierini”

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A scuola di "pensierini"

di Chiara Panizzi

 

Visitando, quando ancora si poteva, la bella mostra fotografica sull’infanzia a Reggio tra Ottocento e primi Novecento, dal titolo Chi sono io, inaugurata il 31 ottobre 2020 presso la Biblioteca Panizzi a cura della Fototeca e oggi purtroppo chiusa al pubblico a causa delle disposizioni governative per l’emergenza sanitaria, mentre osservavo le immagini dei bambini a scuola colti in posa oppure nell’atto di scrivere e leggere, il ricordo è andato a quel vecchio metodo di insegnamento, oggi non più tanto in uso, che alle elementari era affidato alla composizione dei “pensierini”: brevi frasi utili all’apprendimento di una corretta sintassi di base e propedeutiche alla composizione di elaborati più complessi, quali i temi.

Tra i fondi antichi e moderni della Sezione di Conservazione e Storia Locale esistono documenti che, anche solo virtualmente, mi piace ora mettere in dialogo con quelle immagini, in una ricerca di sempre nuove connessioni tra le fonti della storia locale, così da renderle più vive e parlanti.

Nella mole di carte che compongono tanti archivi di persona presenti nelle raccolte della Biblioteca Panizzi, che documentano l’attività di studiosi, scrittori, artisti, poeti, politici, editori, attori, così come anche nelle raccolte di manoscritti reggiani, si trovano a volte oggetti più personali che solo apparentemente si rivelano secondari e meno significativi, come ad esempio quadernetti di scuola, letterine di Natale, cartoline, esercizi di calligrafia, che non così scontatamente rientrano nella tipologia dei documenti conservati in una biblioteca.


Il primo passo per esercitarsi nell’apprendimento della scrittura era il lavoro ripetitivo di riprodurre le lettere dell’alfabeto. Una testimonianza di questo esercizio antico ci viene da un manoscritto modenese datato 1759, che sul verso bianco delle pagine manoscritte, venne utilizzato da un bambino per le sue prove di calligrafia, dove le lettere in corsivo maiuscolo e minuscolo, con tanto di “grazie”, si alternano ai numeri. Cosa complicata lo scrivere in bella calligrafia senza sbavature e senza macchie ai tempi in cui si usava la penna d’oca.


Altre testimonianze ci provengono da un’intera sezione dedicata alla didattica della prima metà del Novecento che è presente nell’archivio di Angelo Davoli (1898-1973), conosciuto a Reggio più per la sua attività di studioso, bibliofilo e collezionaista di incisioni, che per ciò che scelse come professione per tutta la vita: l’insegnamento. Fu infatti maestro elementare, a Bagnolo nel 1919, poi quasi subito a Reggio, dove rimase in carica fino alla pensione. Di questa sua attività rimane una ricca documentazione fatta di registri, annotazioni, indicazioni didattiche che si rivelano preziosi riferimenti per un approfondimento sulle modalità di apprendimento che hanno tolto generazioni di italiani dall’analfabetismo, le hanno formate a saper leggere, scrivere e far di conto, ma anche ad avere gli strumenti utili allo svolgimento di un mestiere semplice, essendo previsto in quinta elementare l’insegnamento di una contabilità di base.


Tra queste carte sbucano dunque alcuni quadernetti di scolari che, dopo essersi impratichiti manualmente con le famoste “aste” e con la scrittura delle lettere dell’alfabeto e delle sillabe, si cimentavano nella formuazione di pensierini, utili all’apprendimento della sintassi nelle sue forme più elementari. In particolare uno è datato 1928 e appartiene ad un alunno in seconda elementare che trascrive per lo più frasi fatte, dettate probabilmente dal maestro o copiate dai primi libri di lettura, nelle quali oltre all’ortografia, imparava a costruire correttamente una piccola frase.

La presenza dei disegni negli elaborati scolastici di questi anni è piuttosto rara e in ogni caso l’estro creativo è ricondotto al rigore dei quadretti e delle righe, in formule ripetitive che si apprendevano in classe. I tronchi si coloravano di marrone, i tetti di rosso, il cielo sempre e solo di azzurro, tanto che alcuni pastelli finivano sempre prima di altri. Guai uscire dai contorni.


I “pensierini” erano anche il primo grado di difficoltà presentato dagli abbecedari o dai sillabari subito dopo l’apprendimento dell’alfabeto e delle sillabe. Di queste pubblicazioni la Biblioteca Panizzi possiede una collezione di circa 600 esemplari provenienti da tutta Europa, stampati e divulgati tra l’Ottocento e la prima metà del Novecento. Molto belli e illustrati sono gli abbecedari inglesi e francesi, mentre più poveri si presentano quelli italiani di cui però rimangono anche belle prove, come ad esempio i libri per le prime letture stampati su tela dalle edizioni “Cartoccino” di Monza, ditta che iniziò l’attività nel 1926 e che produceva anche giochi, figurine, tombole, albi da colorare, calendari e fogli di soldatini da ritagliare. I pensierini presentati da questa editoria scolastica hanno spesso un tono retorico, che gli alunni adottavano come proprio anche nelle future composizioni di fantasia. I temi sono quelli quotidiani del lavoro, del gioco, della famiglia, della storia, degli animali, a seconda della destinazione d’uso, mentre in certi particolari periodi i testi di lettura assumono un tono celebrativo e persino politico con il chiaro intento da parte dello stato di assicurarsi il consenso popolare, fin dalla più tenera età.


Sono emerse anche dall’archivio del poeta e letterato reggiano Luciano Albanesi (1917-1943), alcune letterine scritte ai genitori in occasione del Natale o al papà per il suo onomastico, datate 1924, quando l’autore aveva appena 7 anni. Rivelano un linguaggio piuttosto controllato che a volte si associa ad una tipologia decorativa altrettanto stereotipata, affidata spesso all’applicazione di cornicine dorate e di immagini devozionali e rassicuranti. L’apprendimento della lingua avviene entro rigidi confini, e getta le basi per una futura sperimentazione linguistica più libera, che nell’archivio è documentata da manoscritti e dattiloscritti che ci restituiscono stralci dell’opera poetica e letteraria dell’Albanesi, morto giovanissimo nel tentativo di opporsi all’occupazione fascista dopo l’8 settembre 1943.


Che dietro le composizioni scolastiche, i pensierini, i temi o le letterine di auguri solo apparentemente libere, ci fosse quasi sempre l’intervento dell’insegnante, risulta evidente da una raccolta di modelli per letterine di Natale datati dal 1919 al 1957, che il maestro Angelo Davoli aveva impostato per ogni livello di età e quindi di maturità scolastica. D’altra parte, era previsto dai programmi ministeriali che il maestro insegnasse agli alunni a scrivere correttamente una lettera e a variarne il tono e l’impostazione a seconda del soggetto a cui si rivolgeva.

Oggi sono sicuramente cambiati i programmi ministeriali d’insegnamento, le teorie sull’apprendimento e le strategie della didattica, ma questi saggi di prima scrittura di bambini che hanno frequentato le nostre scuole reggiane nei primi decenni del Novecento, si rivelano preziose testimonianze della vita di scuola di tanti anni fa.
Ed è sempre sorprendente la ricchezza del patrimonio della Biblioteca Panizzi, non solo in riferimento ai documenti rari e preziosi che conserva, ma anche riguardo alle curiosità che emergono più silenziose dalle sue raccolte e che possono rivelarsi importanti testimonianze del tempo e della società che le ha prodotte.

 

 

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