Il palazzo Municipale (nato come palazzo del Capitano)

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di Massimo Mussini

Tutti i Reggiani sono passati davanti al palazzo del Municipio, e tanti vi sono entrati, senza mai pensare a quanta storia è trascorsa fra le sue mura e davanti alla sua facciata.
Proviamo allora a ripercorrere brevemente il suo passato che, come la vita umana, ne ha visto la nascita e la continua trasformazione nel tempo.
L’edificio si affaccia su una vasta piazza che ha cambiato nome più volte, ma che i Reggiani continuano tenacemente a chiamare piazza del Duomo. Anch’essa un tempo non c’era; ma non divaghiamo e torniamo al nostro palazzo.
Fu iniziato nel 1417 per volontà del duca Nicolò III d’Este, da pochi decenni signore di Reggio e, naturalmente, costruito a spese dei Reggiani, poiché gli Estensi erano taccagni quando dovevano sborsare del loro, ma molto munifici quando potevano far pagare agli altri.
La ragione della sua costruzione era essenzialmente politica. Il palazzo del Comune, da tre secoli emblema della libertà cittadina, sorgeva anch’esso sulla piazza e corrispondeva all’odierno palazzo del Monte. Divenuto signore di Reggio, il duca aveva pensato bene di eliminare anche il simbolo dell’autonomia reggiana e aveva fissato la sua residenza in città nell’antico palazzo del Comune, spostando la sede dell’amministrazione cittadina nel nuovo edificio, destinato a ospitare il Capitano della città, governatore per conto degli Estensi.
Per costruirlo si erano acquistate le case che sorgevano sul lato meridionale della piazza, di là del canale che proveniva dall’odierna via Toschi.
Lungo questo canale si disponevano le beccherie, che ammorbavano l’aria, specialmente in estate, con gli scarti delle macellazioni. Fu l’occasione per spostarle definitivamente in altro luogo e, se non altro, l’erezione del nuovo edificio pubblico veniva a migliorare l’aspetto e il decoro della piazza.
Il palazzo aveva un aspetto ancora tardo medievale, con un portico frontale sotto il quale si svolgevano varie attività e una facciata con finestre ad arco acuto, così come si vede caratterizzare il palazzo dei Canonici in un dipinto dei primi anni del Seicento.
Anche allora un po’ di orgoglio muoveva l’animo dei Reggiani e li spingeva a mantenere il decoro dell’edificio, che rappresentava ancora quel poco di autonomia concessa dal duca alla città. Ne era segno anche l’alta e massiccia torre del Bordello Iniziata da Girolamo Casotti nel 1489 sul lato sinistro della facciata, dopo un ampliamento del palazzo avvenuto nel 1481. Aveva la funzione primaria di contenere i documenti ufficiali del Comune e di ospitare sulla sommità le campane che regolavano con i loro rintocchi la vita sociale della città.
Al mattino davano l’avvio alle attività artigianali e commerciali, le facevano cessare al tramonto, chiamavano a consiglio le magistrature cittadine e segnalavano i pericoli, soprattutto quello costituito dagli incendi.
Sul retro si si trovavano le prigioni, con l’abitazione del boia incaricato delle esecuzioni capitali e delle punizioni corporali, che avevano luogo sulla piazza davanti al palazzo, fra cui, singolare, era quella di far sedere una o più volte consecutive su una pietra abbondantemente cosparsa di pece i debitori insolventi, ovviamente senza pantaloni né mutande.
L’evoluzione del gusto ha condotto a rinnovare la facciata del palazzo nel 1583, per opera dell’architetto Prospero Pacchioni, e questo aspetto è “fotografato” nel dipinto sopra menzionato, eseguito nel 1606 circa.
L’ultimo cambiamento della forma esterna dell’edificio si è avuto nel corso del Settecento, in occasione di una risistemazione estetica degli edifici circondanti la piazza. Ne era stato incaricato l’architetto Ludovico Bolognini, che nel 1772 aggiunse le colonne negli archi e a sorreggere il balcone, mutò la forma delle finestre e costruì un nuovo archivio per i documenti del ducato, oggi conosciuto come Sala del Tricolore, perché fu utilizzato per ospitare il Congresso Centumvirale, che nel 1797 proclamò il tricolore verde, bianco e rosso bandiera della Repubblica Cispadana.
Ironia della sorte, l’edificio voluto dal duca per ricordare ai Reggiani la perduta autonomia, ha fatto nascere il simbolo della Repubblica Italiana odierna, che ha sostituito gli stati di Antico Regime.

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