Stefania Vasques_Collettivo: l’unione fa la forza
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Collettivo: l’unione fa la forza
Oggi questa parola finalmente si depura dell’idea politica che la restringeva ad un gruppo di “intellettuali” relegandola ad un concetto se vuoi passato e utopico e diventa un desiderio universale, contemporaneo e concreto. In arte il collettivo è il superamento dell’espressione auto referenziata del pensiero del singolo artista e la realizzazione di un opera che si genera grazie all’apporto di più contributi per diventare opera d’arte proprio il suo concepimento e il conseguente risvolto sociale. In architettura e nel design sono esistiti collettivi che hanno creato nuove tendenze e nuove visioni e modi di stare e fare. E i collettivi, principalmente in ambito teorico e concettuale, hanno gettato le basi per nuove modalità di concepire il lavoro, esempi eccellenti, voci intramontabili e direi ancora necessarie.
“Il monumento continuo”
“…se il design è soltanto uno strumento per indurre al consumo, dobbiamo ripudiare il design; se l’architettura è solamente una codifica del modello borghese della proprietà, dobbiamo ripudiare l’architettura; se l’architettura e l’urbanistica non sono altro che la formalizzazione delle ingiuste divisioni sociali presenti, dobbiamo ripudiare l’urbanistica e le sue città…finchè con il design non si punterà a soddisfare le necessità primarie. Fino ad allora, il design deve scomparire. Possiamo vivere senza architettura…”.
Fondato nel 1966 da Adolfo Natalini e Cristiano Toraldo di Francia, ai quali si sono poi uniti Gian Piero Frassinelli, Roberto e Alessandro Magris e Alessandro Poli fu tutt’altro che un gruppo omogeneo
Ll progetto del Superstudio consisteva nel sublimare le peculiarità dei suoi membri in un soggetto superiore e anonimo – da cui il nome stesso del gruppo – in grado di trasformare la cifra autobiografica in strategia operativa condivisa e in metodo di lavoro. È un’inclinazione che non cessa di esercitare un forte magnetismo verso le nuove generazioni di architetti e designer ancheoggi, a cinquant’anni di distanza dal loro esordio.
Il commutatore . Sistema disequilibrate – 1970 modello di comprensione: questo particolare oggetto può essere considerato come lo strumento emblematico di tutto il lavoro di ricerca sull’ambiente urbano. Molte volte, attraverso il suo uso, La Pietra ha potuto vedere cose da punti di vista diversi, inediti, che non erano di immediata lettura, molte volte l’ha fatto usare ad altre persone. Uno strumento non solo di conoscenza ma anche di comprensione e proposta, realizzato in un momento in cui il cosiddetto “design radicale” costruiva oggetti evasivi e utopici.
Farm Cultural Park è un centro culturale indipendente di nuova generazione con una forte attenzione all’arte contemporanea e all’innovazione. E’ situato nel cuore del centro storico di Favara, in un quartiere denominato de “I sette cortili” per la sua conformazione urbana caratterizzata appunto da sette piccole corti, e che nel tempo era rimasto semiabbandonato. Farm Cultural Park ha acquisito alcune delle abitazioni presenti all’interno dei sette cortili, trasformandole in luoghi di esposizione di arte contemporanea, spazi d’incontro, cucine a vista per workshop e pranzi, cocktail bar, shop vintage e altro ancora. In questo modo l’area si è trasformata da luogo abbandonato e degradato, in centro di attrazione turistica e sede di meeting sull’innovazione e le arti. La nascita di Farm Cultural Park è inoltre servita da stimolo per l’intera cittadinanza di Favara che ha deciso di investire nel binomio centro storico/cultura, creando altre realtà molto interessanti. E’ una nuova economia.
Oltre che comemuseosi propone anche come centro culturale e turistico dove vengono allestite mostre pittoriche temporanee e installazioni permanenti di arte contemporanea. Inoltre vi sono residenze per artisti e vengono svolte presentazioni di libri e vari corsi di architettura. Lo scopo principale di questo progetto è quello di recuperare tutto il centro storico di Favara e trasformare il paese in una attrazione turistica.
Parlare di avanguardie oggi forse è un termine obsoleto ma sicuramente la parola collettivo acquista un nuovo significato sociale, dopo oggi che il sociale per l’appunto ha conosciuto l’isolamento e sviluppato la necessità di un “buon vivere” senza troppe nevrosi, pressioni, richieste di prestazioni. Il “ mito del buon selvaggio si riattualizza in una visione allargata ad un gruppo, un collettivo, ognuno secondo le proprie competenze e inclinazioni. La contemporaneità più che mai sente il bisogno della specificità di ogni conoscenza a servizio di un unico progetto che appartiene a tutti.
È il caso di Cairano paese al confine tra Avellino e Potenza. Cairano è un piccolo borgo rurale di 300 abitanti, abitato fina dall’età arcaica (800 a.c.); alla fine del 1800 contava 1700 residenti. La perdita di abitanti, l’invecchiamento della popolazione, la mancanza di lavoro e di servizi, hanno portato ad un progressivo impoverimento della comunità locale. Un “Programma di Valorizzazione” avviato dal Comune da circa 11 anni, ha consentito di costruire un progetto corale di rinascita con la rifunzionalizzazione di una serie di edifici abbandonati.Oggi a Cairano c’è un borgo restaurato, “residenze creative” per artisti, un centro di formazione (in un ex asilo), aule didattiche multimediali dove il “Gruppo Dragone Entertainment” lavora alle sue produzioni, c’è un teatro e annessi laboratori, un centro di aggregazione multifunzionale (in una ex scuola), c’è un sentiero arcaico costellato da decine di cantine ipogee, ci sono 4 B&B e un ristorante attivati da residenti, un birrificio artigianale che utilizza il luppolo prodotto in loco, un museo delle “Relazioni Felicitanti”, un Organo che suona col vento della Rupe. Il mercato immobiliare ha recuperato valore, il paese è sulla strada della ripresa. Accanto a questa opera materiale, da circa 10 anni si è animato un festival (Cairano 7x – SponzFest – Recupera Riabita).
Oggi siamo pronti per completare questo progresso di vita attraverso la già consolidata partecipazione diretta della “comunità aperta” nel processo di autoformazione, avviando una scuola fondamentale multidisciplinare con l’ausilio della tecnologia digitale (smart working, webcasting ecc) che parte da Cairano e si sviluppa sui 25 Comuni dell’Area Pilota (progetto SNAI).
In seguito alle violente rivolte che hanno sconvolto Toxteth nel 1981, il quartiere è diventato luogo di degrado ed è stato in gran parte abbandonato. Per 20 anni gli abitanti hanno combattuto una dura battaglia per salvare le case dalle demolizione. Quattro anni fa hanno deciso di creare un community land trust e hanno chiesto ad Assemble di riqualificare l’area grazie all’’arte pubblica che può cambiare il mondo. L’originalità del lavoro di Assemble risiede nel fatto che realizza progetti che sono il risultato di processi collaborativi, che coinvolgono attivamente il pubblico ascoltandone le esigenze e traducendole in realtà. Il primo progetto di Assemble è il Cineroleum, un cinema temporaneo ideato a Londra in una stazione di servizio abbandonata. Tra gli altri progetti del collettivo ci sono una struttura teatrale temporanea, un parco giochi a Glasgow che dà spazio alla creatività dei bambini, uno spazio di lavoro collaborativo per artisti e designer a Londra ricoperto esternamente da piastrelle colorate fatte a mano.
Personalmente ho fatto parte di un collettivo ideato con Elisa Ossino e Alberto Zordan: Officina temporanea. Credo sia stata una delle esperienze più edificanti lavorare in gruppo, per lo scambio, le relazioni e soprattutto per la straordinaria forza a propulsione che magicamente si genera. Officina Temporanea si occupa di design e forme espressive dell’arte invitate a esprimersi intorno a un “tema”, con attenzione alle tematiche sociali. Le mostre trattano linguaggi differenti. Ogni evento si articola su un tema o capitolo: design, art design, video, musica, fotografia, poesia, arti performative, installazioni, concorrono in tempi diversi ad un’unica narrazione. Oltre alle relazioni con gli artisti invitati a partecipare che generano nuove connessioni anche la relazione con il pubblico che si innesca durante gli eventi diventa un contributo al progetto al pari dell’oggetto esposto. I temi stabiliti sottendono ogni volta un messaggio sociale che è il valore dell’azione umana come esercizio alla coscienza delle cose che ci circondano. Ogni scelta individuale un contributo per i flussi di cambiamento sociale e collettivo.
Innestare
AscoltareColor zone
Folk and love
Not a simple choice
Sognare.
Stefania Vasques Studio
Stefania Vasques nasce a Catania. Vive e lavora a Milano. Architetto, designer e stylist collabora con le migliori testate che si occupano di arredamento e design. Collabora come designer con L’abitare, Corrado Corradi, Diamantini e Domeniconi, Danese e Sambonet. Fa parte di un gruppo di designer “Officina Temporanea” che insieme ad “Artigiani officina” autoproducono pezzi di serie limitata, espressione di un tema o di un uso. Crede che il compito del designer sia quello di creare oggetti “utili”. Ama tutto quello che spontaneamente offre la natura perché ricco di una saggezza antica e di una conoscenza ancora da scoprire. Ama il bello come risorsa per tutti e come valore. Ama l’arte, la cioccolata, la bicicletta, i pannelli solari, il fotovoltaico, l’olio di oliva, l’olio di colza, la Sicilia, la sua famiglia, gli amici, Officina Temporanea, Klab, il mare, gli alberi, le piante officinali e aromatiche, la medicina naturale e tutta la gente di buona volontà.