L’architetto e il senso di comunità

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Per gli Architetti formati e cresciuti nel secolo scorso, il 900, l’idea di comunità ha la sua culla nell’opera di Adriano Olivetti, a Ivrea, dove l’illuminato ingegnere sviluppa la sua idea di Comunità, invitando intorno a sé i migliori architetti, designer, tecnologi, filosofi, sociologi e pensatori per dare vita al più ardito esperimento utopista di capitalismo etico in Italia mirato alla bellezza, alla cultura e alla speranza. La fabbrica non produce solo moderne macchine dal disegno perfetto, ma forma anche il capitale umano che le progetta e le crea. La fabbrica si pone al centro del territorio e della città e diventa il luogo del sapere, della discussione, della parità fra gli individui, dove l’uomo è protagonista di un rinnovato umanesimo. L’esperimento di Olivetti e persino la sua avventura politica, saranno osteggiati dal mondo politico, e ancor di più dalle multinazionali contrarie ai successi dell’Olivetti nel campo dell’informatica. E l’idea di Comunità ben presto finisce. Di quell’idea resta impressa nel DNA degli Architetti la spinta a essere parte propulsiva e integrante della Comunità locale, anche se le occasioni di “partecipazione” alla creazione di un tessuto comunitario urbano si siano, oggi, ridotte alla creazione di “reti” virtuali di comunità.

È già qualcosa. Ma gli Architetti hanno nel DNA quel “fattore” che li distingue dagli altri mortali: gli Architetti sono storicamente facitori di Comunità attraverso l’atto materiale e culturale di costruire e di edificare le Città; luogo ideale per vivere e sentirsi parte della Comunità, manifestazione della Collettività. Le vicende economiche mondiali del ventunesimo secolo hanno spostato nell’estremo oriente i capitali della crescita lasciando a noi il peso debitorio della decrescita che ha posto fine a questa magnifica avventura, spingendo gli Architetti verso multiformi discipline integranti e complementari dell’urbanesimo. Ma non si può dimenticare che tutto il patrimonio storico-artistico dell’umanità porta la firma di Architetti che lo hanno progettato e costruito e persino le case, anche anonime, del tessuto urbano più modesto, sono opera di Architetti, salvo rare eccezioni.

Non può esserci Comunità senza Polis, senza il contenitore urbano teatro di vita, di relazioni e anche di morte. La Civitas è il nostro teatro a cielo aperto dove l’agorà fisica e materiale ha consentito alla storia di arrivare fino a noi; noi che oggi “corriamo” nella piazza digitale, ma non vediamo l’ora di tornare nella Piazza materiale per sentirci vivi. Ma chi ha edificato queste mura, queste forme di pietra e mattoni, se non bravi e ingegnosi Architetti?

Tralasciando gli antenati più remoti, quanti sono grati ad Antonio Casotti per la torre del Bordello, Prospero Sogari (il Clemente), Francesco Pacchioni per la Ghiara e la Torre di San Prospero, o a Francesco, Giovanni Battista e Lodovico Bolognini (per il municipio), o Giovan Maria Ferraroni per la reggia di Rivalta, o Domenico e Pietro Marchelli per tutta la Reggio Neoclassica, o di Antonio Cugini per il teatro Ariosto, e Cesare Costa per il Municipale Valli, e Paolo Croppi con Achille Grimaldi e Prospero Sorgato Architetti comunali….l’elenco è grande e difficile da comprimere. Ma ci sono anche i nostri del lontano 900, come Enea Manfredini, Carlo Lucci, Antonio Pastorini, Maria Cristina Costa, Franca Manenti Valli, Quintilio Prodi, la Cooperativa Architetti e ingegneri con Osvaldo Piacentini e Aldo Ligabue, Giuseppe Lasagni, Leopoldo Ficarelli, Gianni Boeri… e tanti ancora che hanno dato forma alla Città creando Comunità.

Ma non c’è soltanto la Comunità di popolo con genti diverse, che vede Reggio premiata dal Consiglio d’Europa, o le Comunità virtuali ora dominanti (anche per ragioni di sicurezza antivirus), che però sono “non luoghi”. Ci sono nuove Comunità che si sviluppano intorno ad incubatori che nella vicinanza fisica danno vita all’intelligenza aumentata. È il caso del Tecnopolo e del Centro per l’innovazione che, a Reggio, significano Rigenerazione Urbana delle aree industriali dismesse (le ex Officine Meccaniche Reggiane che furono gloria industriale di Reggio Emilia, dove la classe operaia raggiunse livelli straordinari di competenza e di audacia imprenditoriale).

Queste nuove Comunità, che si nutrono di tutto ciò che ruota intorno all’intelligenza artificiale, si possono definire Comunità Tecnologiche ad alta specializzazione (non a caso gli Architetti reggiani hanno acquistato la loro nuova casa nel Tecnopolo, assieme ai “colleghi” Ingegneri).  La storia insegna che gli Architetti sono sempre stati a fianco dell’innovazione; le cupole del Duomo di Firenze e di San Pietro non ci sarebbero senza Brunelleschi e Michelangelo e oggi non avremmo le opere di Calatrava o di Renzo Piano senza la tensione creativa e la ricerca tecnologica e progettuale che anima gli Architetti. Si può concludere che, oggi, il senso della Comunità sia il frutto di un “colossale ingorgo” di fisicità, materialità e realtà virtuale, che spaventa i pusillanimi mentre costituisce un fecondo brodo di cultura per chi accetta le sfide dell’ibridazione.
Catturando, le api umane, i semi liberi che volano per l’aria.

Per fare un esempio, un luogo simile a Reggio Emilia si può toccare con mano alla “Polveriera”, ambito urbano “collettivo” per eccellenza, in cui forti sono il senso di Comunità e innovazione.

Testi di Enrico Manicardi, architetto
Fotografie di Matilde Bianchi, architetto


Architettura & Design è una rubrica curata dall’Ordine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti, Conservatori di Reggio Emilia.  RIGENERA è il festival dell’architettura contemporanea che si terrà a Reggio Emilia per pensare alla città di domani più densa, versatile, bella, creativa, circolare, per le persone. Il Festival dell’Architettura è un progetto dell’Ordine degli Architetti PPC di Reggio Emilia promosso dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo. Vincitore del bando “Festival dell’Architettura”.

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