Chiamami col tuo nome

Condividi:

di Angela Cervi

Alcune note sul bellissimo film Chiamami col tuo nome di Luca Guadagnino, che racconta la storia d’amore fra Elio, un diciassettenne italoamericano, e Oliver, un affascinante studente americano ospite del padre.

“Avevi quella camicia il giorno in cui sei arrivato. Me la regali quando vai via?”
Elio in “Chiamami col tuo nome”

La giovinezza, la bellezza di un desiderio che nasce per la prima volta, un amore assoluto e il dolore che costringe a crescere: questi sono i temi e le emozioni del pluripremiato film di Luca Guadagnino “Chiamami col tuo nome”, tratto dal  romanzo omonimo di André Aciman, sceneggiato da James  Ivory  e uno dei maggiori successi di pubblico al Cinema Rosebud, che lo ha proiettato in esclusiva e lo ha tenuto in programmazione per diverse settimane, ospitando successivamente  il montatore del film, Walter Fasano, per uno dei seguitissimi corsi di cinema che il Rosebud offre periodicamente ai propri spettatori.

Nell’estate del 1983, nel nord dell’Italia, Elio Perlman, un precoce diciassettenne italoamericano, passa le vacanze nell’antica villa di famiglia trascrivendo e suonando musica classica, leggendo e flirtando con la sua amica Marzia. Figlio di un eminente professore universitario specializzato nella cultura greco-romana e  di una traduttrice, con i quali, in particolare con il padre, ha rapporti molto stretti, Elio vive in un ambiente intellettuale ricco e stimolante, ma dal punto di vista affettivo è un adolescente allo stesso tempo innocente, passionale e vulnerabile nella propria ricerca di sè. Ma tutto per lui cambierà con l’arrivo di Oliver, un affascinante studente americano che il padre di Elio ospita per aiutarlo a completare la sua tesi di dottorato: si troveranno infatti  a vivere un amore speciale e impossibile da dimenticare.

La bellezza del film si rivela proprio in questo: non solo nell’estate quasi magica, così vicina e cara all’adolescenza come  può esserlo soltanto il tempo di una libertà senza confini, non solo per la serenità del paesaggio che è parte integrante della storia come pure la bellissima colonna sonora, ma per la delicatezza e la profondità di un desiderio a volte immaturo, a volte intenso e quasi adulto, che Elio vive così come gli adolescenti affrontano l’amore: con un senso di sfida e quasi di dispetto per le inquietudini che porta con sè, ma allo stesso tempo idealizzandolo con la passionalità tipica dei suoi anni, perchè l’adolescenza, nell’amore, cerca ancora la perfezione, senza volerne immaginare le difficoltà e la fine. “Traditore” è la parola che Elio pronuncerà più volte all’indirizzo di Oliver: perchè Oliver piace a tutti, perchè il suo corpo, come le statue studiate dal padre di Elio, è una sfida a desiderarlo, perchè ha la sicurezza gentile e disinvolta della persona adulta che ha già una vita e che in questa vita si muove a suo agio, e che ha probabilmente accettato anche quella parte di sè che Elio non ha ancora trovato, che ancora non conosce.  Ma è proprio attraverso questa scanzonata gentilezza che Oliver rivela la sua forza e la sua vulnerabilità: nel desiderio di vivere una storia – di affetto? di amore? – che non faccia male a nessuno, che rimanga per entrambi qualcosa di bello da ricordare. L’idea dello scambio dei nomi dopo il sesso è proprio un’idea di Oliver, che Elio accetta immediatamente: è questo scambio che stabilisce tra loro il vero legame, un rispecchiamento non solo dei corpi ma la consapevolezza di un sentimento che resterà immutato per entrambi nella sfera di vetro di quell’estate e dei loro ricordi. “Sapessi quanto poco so delle cose che contano”, aveva detto Elio a Oliver all’inizio della loro relazione. Ma quello che Elio impara alla fine del film è anche l’esistenza del dolore: che, come dice il padre nel bellissimo finale, non va represso, non va cancellato ma accettato e vissuto come la gioia, il desiderio e l’amore. “Quando meno te lo aspetti, la natura ha astuti metodi per trovare il tuo punto più debole. Tu ricordati che sono qui. Adesso magari non vuoi provare niente, magari non vorrai mai provare niente e, sai, magari non è con me che vorrai parlare di queste cose. Però prova qualcosa, perché l’hai già provata. Senti, avete avuto una splendida amicizia, forse più di un’amicizia, e io ti invidio. Al mio posto, un padre spererebbe che tutto questo svanisse, pregherebbe che il figlio cadesse in piedi ma non sono quel tipo di padre. Strappiamo via così tanto di noi per guarire in fretta dalle ferite che finiamo in bancarotta già a trent’anni. E abbiamo meno da offrire ogni volta che troviamo una persona nuova, ma forzarsi a non provare niente per non provare qualcosa… che spreco. Ho parlato a sproposito? Allora, dico un’ultima cosa. Per chiarire meglio. Forse ci sono andato vicino, ma non ho mai avuto una cosa così. Qualcosa mi ha sempre frenato prima, si è messa di mezzo. Come vivrai saranno affari tuoi, però ricordati: il cuore e il corpo ci vengono dati soltanto una volta e, in men che non si dica, il tuo cuore è consumato e, quanto al tuo corpo, a un certo punto nessuno più lo guarda e ancor meno ci si avvicina. Tu adesso senti tristezza, dolore, non ucciderli, al pari della gioia che hai provato”. 

Accettare le ferite come parte delle proprie esperienze e delle proprie scelte è anche l’unico modo per amare di nuovo senza ferire e senza ferirsi. Scegliere di amare e chi amare può essere difficile, ma si tratta di un rischio che vale la pena correre. Un’esortazione, quindi, ad ascoltare il proprio corpo e i propri desideri, perchè è possibile innamorarsi di chiunque e i sentimenti non vanno sprecati ma vissuti fino in fondo, finchè il tempo permette di conservarne l’intensità e la bellezza.

facebook/ChiamamiColTuoNome

Condividi: