Qualcuno volò sul nido del cuculo: fuga verso la libertà

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di Miloš Forman

“Qualcuno volò sul nido del cuculo”, il film tratto dall’omonimo romanzo di Ken Kesey che Miloš Forman girò nel 1975, diventò subito un cult per il suo spirito anticonformista incarnato da un personaggio eccentrico, sfrontato e ribelle ma capace di amicizia ed empatia, e animato da uno spirito di libertà che va oltre la rappresentazione della follia per diventare la più autentica chiave di lettura dl film.

“...questo non è un film sulla follia. È un film su uno spirito libero in un sistema chiuso.”
Roger Ebert, 2003, dal sito della Cineteca di Bologna

Tratto dall’omonimo romanzo di Ken Kesey uscito nel 1962, il film di Miloš Forman, premiato  nel 1976 con ben cinque Oscar,  è indubbiamente una delle sue opere più ricordate e amate.  Ma più che per lo spirito di denuncia, più che per avere raccontato la durezza, la crudeltà e spesso il sadismo delle istituzioni psichiatriche tradizionali, ha conquistato una generazione di spettatori per quello spirito di ribellione anticonformista che dal libro di Kesey – uno dei maggiori esponenti della controcultura e della psichedelia americana degli anni Sessanta – si è coniugato nel film con le riflessioni e le vicende personali di Forman, il suo rapporto con il potere, la politica e la storia di quegli anni.

La principale chiave di lettura del film non è tanto la malattia mentale nella sua gestione clinica, quanto piuttosto la libertà. I malati di Kesey e di Forman, stravaganti e fragili, sono malati soprattutto di infelicità, inadeguatezza, violenza data e subita, rifiuto da parte di una società che non li vede docili, consenzienti, allineati e conformi. Come sottolineava lo stesso regista, “Inventiamo le istituzioni per cercare di rendere il mondo un luogo più giusto, più razionale […], eppure non appena sorgono, cominciano a controllarci, a irreggimentarci, a dirigere la nostra vita. Incoraggiano la dipendenza per perpetuare se stesse, e sono minacciate dalle personalità forti.”
Per questo, nell’ospedale tutto ordine e pulizia e regolato da una ferrea disciplina dove si svolge la storia, l’arrivo di McMurphy-Jack Nicholson porta tanto scompiglio. Condannato per reati di violenza, McMurphy spera, spacciandosi per matto, di sottrarsi al carcere: i medici dovranno scoprire se sia o no un simulatore, così come lo è il gigantesco indiano Chef, un finto sordomuto che diventa suo amico e con il quale McMurphy architetterà la fuga. Ma prima di questo riuscirà a volgere in burla la vita che si svolge in quel microcosmo di repressione mascherata, con le sedute psicanalitiche di gruppo, le regole e la disciplina, cercando di restituire agli internati qualcosa di simile alla vita attraverso immaginarie partite di baseball, una squadra di basket improvvisata , una “scappata” in barca – sempre offrendo come esempio il suo spirito ribelle e la sua provocatoria immaginazione. Che alla fine giocheranno contro di lui, perchè le istituzioni non stanno allo scherzo, perchè la malattia mentale deve essere contenuta e repressa, perchè la follia è caos e minaccia per la società.  Così per McMurphy la fuga finale non sarà quella progettata e agognata; sarà la liberazione da una vita resa ormai inutile per lui e allo stesso tempo un estremo dono di amicizia con il quale l’indiano Chef terrà fede a una promessa, a  un progetto di libertà che per lui diventerà, forse, reale, quando riuscirà a sfondare una vetrata della clinica a e ad allontanarsene, incoraggiato dagli altri internati, correndo verso un orizzonte di alberi e colline.

www.cinetecadibologna.it

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