Nonna Adele e la libertà

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Eccoci qua.

Sentir parlare della liberazione sembra quasi un vanto di questi tempi. Qualcosa di sfumato che si colloca come molti discorsi odierni a data da destinarsi.
Questa sospensione accantona quasi la speranza; nel futuro e nel passato.
Ma lei era lì. Questa è mia nonna. Adele. L’ho rivista l’altro giorno dopo giorni e giorni, e giorni e ancora giorni. Mi aveva già fatto questo appunto. Si è adeguata anche lei, ci sentiamo al telefono, eppure rimane con la sua parlantina e in momenti vari mi ha nominato la guerra. E ’ dall’inizio di tutta questa questione della pandemia che i discorsi intorno a me vanno in quella direzione. Mi sembra a volte che le narrazioni dei media vogliano proprio andare a costruire questo paragone.
Forse perché è l’unica cornice che lo Stato ha già attraversato insieme alla popolazione e gli unici strumenti che non abbiamo dovuto inventarci ora sono quelli che sono tornati utili inquel periodo.
Io non le ho chiesto niente, non ho introdotto il paragone virus-guerra perché mi aspetto sempre qualcosa da lei. Il consiglio, la riflessione, l’esperienza. Non le ho messo in bocca quelle parole per rispetto, perché mi sembrava giusto capire che cosa ha da portare lei. Cosa avanza da tutti quegli anni di vita tra le rughe.
Quindi ho aspettato con pazienza che si pronunciasse lei.
Ha ammonito tutti, ha zittito ogni conclusione affrettata, ogni pressapochismo.
“La guerra è un’altra cosa! C’era qualcuno dall’altra parte”.
Ha rimesso a posto i termini sottolineando con grande acume che nella guerra che ha visto lei c’erano uomini e donne che hanno scelto di agire.Le responsabilità sono diverse. Le implicazioni sono diverse.

Ancora una volta mi ha parlato della sua paura per gli apparecchi a causa di Pippo che planava sulle sue orecchie portandosi via il filòs, degli amori nati nel conflitto, di suoi padre che sapeva o non sapeva (continua a dirmelo come se ancora, per sicurezza, sia meglio non esplicitarlo) di quei partigiani nascosti nel fienile..Io continuo ad ascoltare con attenzione sapendo che quella memoria è sempre più mia.

Piango questi anziani che se ne vanno adesso così senza aver potuto giocarsi l’ultimo racconto con i figli e i nipoti. Li sento che ci lasciano monchi. Come se fossimo tutti mutili.Senza la possibilità di incastonare un ultimo messaggio, un saluto, un commiato condiviso che ci lasci coraggio.
Penso allora a Catia, la moglie di mio fratello che lavora in una casa di riposo. L’altro giorno mi ha raccontato meglio. Per la prima volta è entrata nel dettaglio. Ho immaginato varie volte cosa può significare fare la OSS ora. Era anche il lavoro di mia madre. Ha condiviso un vissuto straziante, molto lontano da ciò di cui parlano i telegiornali. O meglio, ha raccontato uno spaccato diverso,quello emotivo, quello che racconta di sguardi che ci lasciano in continuazione. Li saluta lei per tutti noi. Porta a casa quel susseguirsi di morti. Quelle ultime richieste dei parenti intorno, distanti che chiedono di accompagnare i propri cari verso la fine.“Lisa la guerra è un’altra storia!” Ci sono armi, esplosioni, soprusi, idee di supremazia che non c’entrano nulla. L’unica cosa che ci accomuna ora è la perdita.La mancanza, l’incertezza, la paura, il vuoto che si crea.Ma anche il coraggio.O almeno, io vorrei il coraggio.Mi pare un po’ che forse lo dobbiamo a tutti gli anziani che ci hanno lasciato oggi.

Durante la seconda guerra mondiale qualcuno è stato a guardare (non dimentichiamocelo) soprattutto per non costruire una retorica della Resistenza; ma i più a un certo punto si sono rimboccati le maniche e hanno lottato per la libertà e per ricordare a tutti gli altri la sostanza dell’umanità.Il rischio di creare un substrato di discriminazione lo vedo anche adesso, intendiamoci.
Dobbiamo stare molto attenti a non creare la classifica degli aventi diritto a.La classifica dei cittadini. Chi è già fragile non va lasciato indietro e chi potrebbe diventare fragile pur non essendolo mai stato, va sostenuto.Il monito di mia nonna va anche in quella direzione. Perché la guerra è stata povertà, non solo economica, ma di senso.
Non voglio perdere l’orizzonte solo perché sospeso.E la solidarietà rischia di essere vacua se non accompagnata da una visione di insieme sul lungo periodo.La Resistenza che vorrei oggi è questa.

Ho trovato questa foto di mia nonna l’altro giorno. Amo molto sfogliare vecchie fotografie di famiglia. Sono ghiotta di quelle storie drappeggiate negli sguardi bloccati dal rullino, ma questa proprio mi era sfuggita.Chiudo così rimettendo al centro della scena lei, perché ai tempi della guerra mia nonna era bambina. Non ha fatto la storia con una qualche azione impavida, non ha cambiato il destino di qualcuno con un gesto da eroina.Ha vissuto e sentito la guerra attraverso la quotidianità dell’infanzia e i suoi apprendimenti.La guardo con profondità, la vedo con i suoi cento linguaggi, la sua resilienza.Anche sui bambini i discorsi sono vari ultimamente: c’è chi guarda al trauma insuperabile e chi alla loro grande capacità di adattamento. L’invito che ci fa lo sguardo di mia nonna bambina è forse quello di uscire da questi binari.La resistenza per me quest’anno sarà anche questo.Tentare di uscire da queste definizioni, da queste etichette in favore della legittimità delle sfumature, delle diversità. Permettiamoci anche una cultura della complessità per non rischiare di inquadrarci come cittadini responsabili o sconsiderati, buoni o cattivi.Sono in gioco i nostri diritti,anche alcuni conquistati sempre da un’altra generazione, sempre gli anziani appunto.

Sembra che siamo tutti qua a chiederci se saremo una società migliore o peggiore, il punto è smetterla di inquadrarci solo così. Meglio o peggio rimanda a un processo ancora una volta appartenente a una società performante. Ma forse potremmo essere anche un destino diverso, lontano da questo riduzionismo.E’ l’umanità complessa che non cadrà più nel fascismo e nel razzismo.La resistenza di oggi vorrei che parlasse di questo.

Domani chiamerò mia nonna e le chiederò che ne pensa.

Intanto buon 25 aprile e viva la libertà. Viva la resistenza! Viva la resilienza!

Lisa

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