Ma non esiste

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di Collettivo FX

Manonesiste è un progetto nato da un po’ di persone interessate a raccontare le Officine Reggiane come sono oggi. Un’ex area industriale abbandonata diventata un vero e proprio quartiere abitato da persone senza fissa dimora. E del quartiere ha tutte le caratteristiche: vicini che collaborano e vicini che si odiano, il parrucchiere “di condominio”, l’area verde, i problemi con i rifiuti, gli schiamazzi.
Questo quartiere però, così come le persone che lo abitano, in sostanza non esiste. Non per il centro della città – dal quale è lontano solo pochi metri – non per la legge, non per i diritti. Manonesiste ha così voluto raccontare la storia di queste persone che esistono, ma è come se non esistessero.
Non hanno fissa dimora, nè tutele, nè libertà. Come sono arrivati qui? Come vivono? Da dove vengono? Le storie del “sindaco”, il “santo”, il “carpentiere”, la “volontaria” e il “calciatore” sono tutte ispirate a storie vere, raccolte alle Reggiane. Ogni storia è stata raccontata con le parole ma soprattutto attraverso delle opere realizzate in linoleografia in 30 copie che tra il dicembre 2018 e giugno 2019 sono state affisse in città, di notte, per essere “rubate” dai passanti. Gli “attacchinaggi” sono stati annunciati di volta in volta tramite il profilo instagram @manonesiste. Chi riusciva a recuperare e portare a casa l’opera trovava sul retro il link per leggere la storia del personaggio.


Tutte le storie sono ora disponibili su https://manonesiste.wordpress.com/.

Le immagini degli attacchinaggi sono su https://www.instagram.com/manonesiste/

 

“LA VOLONTARIA”

24 anni, ex schiava,
 mediatrice, 
aiutava gli ultimi
MA NON ESISTE

“Ciò che non conosci lo trovi dove non sei mai stato” c’è scritto sul braccio di Jali. E’ scritto in italiano, ma è un proverbio africano, come lei. Se lo è tatuato per ricordarsi quello che ha lasciato (“non abbastanza”), quello che ha trovato (“non ne voglio parlare”) e quello che verrà dopo (“una vita vera”).

Se lo è tatuato perchè aveva bisogno di sperare.

Se lo è tatuato per ricordarsi, che quel corpo venduto da altri, sarebbe stato nuovamente suo, un giorno.

“Il mio nome, Jali, significa “fare il massimo con quello che si ha” e per molti anni ho pensato che quello che avevo, un corpo, non era una risorsa ma la mia più grande sfortuna. Che avere qualcosa era peggio di non avere nulla”.

Jali ha solo 19 anni ma il suo passato è molto, troppo lungo. “Ma quello non c’è più. Quella non sono io. La mia vita è iniziata cinque anni fa, quando ho trovato quello che non conoscevo. Ho trovato, finalmente, la mia vita”.

Da 5 anni Jali ha molti amici, una casa, un lavoro da mediatrice e una missione. Da volontaria aiuta le donne come lei a liberarsi, a riappropriarsi del proprio corpo, della propria vita. “Ma anche dei sogni, delle cose belle, della speranza, del diritto a esistere. E’ la prima cosa che ti viene tolta, e allora dai per scontato che non c’è alternativa a tutta la violenza che subisci”.

Grazie a Jali, Nma, Samirah, Bearabe e tante altre sono oggi donne libere. Hanno una vita, una famiglia, il diritto a esistere.

Foto ©Collettivo FX

 

 

 

 

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