La storia di Marco Cavallo

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La libertà è terapeutica: la storia di Marco Cavallo ci insegna come ripensare alla libertà
di: Marilena Crosato, Stefano Crosato, Rosaria Ruta 

Perché ricordare oggi la storia di Marco Cavallo, il destriero azzurro che nel 1973 varcò le mura del manicomio di Trieste accompagnando un corteo di uomini e donne verso la libertà?
Immaginate matti, artisti, psichiatri, infermieri, volontari, realizzare negli anni ‘70 un progetto di sperimentazione di libertà. Quando la riflessione sul superamento dei manicomi inizia a chiedersi cosa avrebbero trovato, una volta liberati, i pazienti al di là della soglia e delle mura entro cui avevano passato la loro vita? Con che occhi avrebbero visto la realtà? Con che desideri riempito una nuova condizione, radicalmente diversa, dove la normalità non equivale alla libertà (e la follia alla reclusione) ma si può essere folli-liberi?

Dopo l’emergenza e il confinamento, nella fase di riapertura supereremo anche noi la soglia di casa con una ritrovata libertà di movimento. Sarà un momento di metamorfosi che porterà un nuovo sguardo su noi stessi e sul mondo. Ora l’essenziale è poter rispondere “sto bene”. La realtà che ci protegge ci sta al tempo stesso mostrando i suoi muri: la paura, la rassegnazione, la diffidenza, la violenza occultata, la mancanza di contatti e del lavoro. Riscopriamo i doni della solitudine e la presenza spirituale delle persone care, soprattutto quando possiamo rifugiarci in uno spazio di intimità e di cura.

Quando usciremo dalle nostre case ognuno di noi avrà la propria storia da raccontare e la propria soglia da superare – quella del silenzio e della rinuncia, o della riscoperta del mondo – per riavviare un flusso di sogni, scoperte, progetti da condividere.
La storia di Marco Cavallo è la storia di una comunità inclusiva, formata da matti, artisti, psichiatri, infermieri, ricoverati e cittadini, che sperimentano un’inedita “esperienza di libertà” attraverso un progetto di creazione collettiva. Nel 1973 un gruppo di artisti lavora con gli ospiti del manicomio di Trieste alla costruzione di un cavallo di legno e cartapesta azzurro, alto 4 metri, con una porta nella pancia, entro cui tutti possono custodire i biglietti con i loro sogni e desideri: un orologio, il porto con le navi, un fiasco di vino, la casa, le scarpe, il viaggio. Un cavallo di Troia al contrario per testimoniare la possibilità di uscire e andare in giro ciascuno con la propria storia. I pazienti partecipano a un laboratorio creativo animato da pupi, disegni, pittura, assemblee, storie parlate e cantate, uno spazio performativo in cui chiunque può entrare e inventare. Marco è il cavallo che per anni aveva tirato il carretto dei panni da lavare e, diventato vecchio, era stato salvato dai ricoverati prima di finire al mattatoio, diventando il simbolo del riscatto possibile per tutti gli esclusi. Marco Cavallo è una straordinaria macchina teatrale che rappresenta tutte le storie costruite nel manicomio. È troppo grande per passare dalla porta, bisogna aprire una breccia nelle mura per farlo uscire in città una domenica di febbraio, alla testa di un corteo di centinaia di persone che coinvolge in una festa i cittadini. Insieme all’atmosfera festiva porta nei quartieri la denuncia della miseria del manicomio, del disagio dei lavoratori e della “mancanza di qualsiasi prospettiva reale per i degenti, così condannati a restare per sempre assistiti” (volantino, 25 febbraio 1973). Un simbolo della libertà riconquistata intorno al quale si può riunire ancora oggi chi vuole riconoscersi in una speranza, “un progetto di vita che rappresenta un legame tra individui in una nuova dimensione”, “la speranza di poter stare insieme agli altri in un aperto scambio sociale, in rapporti liberi tra persone” (Basaglia, 1979).  Nel 1978 il parlamento italiano vara la Legge 180 che prescrive la chiusura degli ospedali psichiatrici. Marco Cavallo continua a viaggiare e a dare voce al desiderio e al diritto di riprendere in mano la propria vita.

Per approfondire

In copertina: foto d’epoca pubblicata da MuViS 


Marilena Crosato, performer ed esperta di comunicazione per lo sviluppo, master in Diritti dell’Uomo ed Etica della Cooperazione Internazionale, formazione artistica attraverso una laurea in Architettura e un diploma presso la Scuola Teatro Arsenale. Ha condotto ricerche-azione impegnate nella promozione dell’uguaglianza di genere e dell’empowerment di gruppi vulnerabili in Italia, Colombia, Haiti, Vanuatu, Niger e Senegal dove ha realizzato performance teatrali site-specific presentate in contesti comunitari e in festival internazionali. Lavora a Dakar come Community Engagement Officer dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni. Ha collaborato con la rivista Hystrio. Socia fondatrice di Civic Engagement and Community Empowerment Onlus. www.marilenacrosato.com

Stefano Crosato, psichiatra e psicoterapeuta, dal 1981 al 2015 ha lavorato in servizi psichiatrici ospedalieri, riabilitativi e territoriali. Dal 2003 responsabile delle Residenze e dal 2009 di un Centro di Salute Mentale a Reggio Emilia. Ha sviluppato una ricerca multicentrica per la valutazione partecipata dei servizi di salute mentale; esperienze di fareassieme tra operatori, utenti, familiari; formazione alla salute mentale condotta da esperti per esperienza. Socio fondatore di Sentiero Facile APS e Civic Engagement and Community Empowerment Onlus.

Rosaria Ruta, psichiatra e psicoterapeuta, dal 1979 al 2015 ha lavorato nei servizi psichiatrici di comunità; è stata direttrice dell’Area di Reggio Emilia del Dipartimento di Salute Mentale e Dipendenze Patologiche e del Programma Disturbi del Comportamento Alimentare. Docente nel Corso di Laurea Terapisti della Riabilitazione Psichiatrica UNIMORE. Presidente di Sentiero Facile APS e Civic Engagement and Community Empowerment Onlus.

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