La libertà appesa al muro

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Gorizia/Nova Gorica – Görlitz/Zgorzelec
Intervista a Fabrizio Cicconi e Kai-Uwe Schulte-Bunert

L’attuale pandemia di Covid – 19 sta cambiando gli equilibri sociali ed economici a livello globale. In Europa l’emergenza sanitaria a causa del coronavirus ha valicato tutti i confini ed ha innescato una crisi epocale che incide sull’equilibrio sociale, economico e finanziario che ha governato il mondo dalla fine della Seconda Guerra mondiale ad oggi.
La storia dei confini europei è stata una storia molto tormentata. E anche se oggi nella gran parte d’Europa i confini non subiscono più alcun spostamento, continuano le divisioni e le barriere.
Affrontare la parola libertà significa anche indagare l’assenza di libertà, la divisione, il confine, ma anche uno spazio di pacificazione e comunicazione.
Per questo vi proponiamo l’intervista a Fabrizio Cicconi e Kai-Uwe Schulte-Bunert sul loro progetto – presentato nell’edizione 2007 di Fotografia europea negli spazi dell’ex Opg, riaperto per l’occasione, e successivamente in diverse altre città – che indaga due città di confine Gorizia/Nova Gorica tra Italia e Slovenia e Görlitz/Zgorzelec tra Germania e Polonia, accomunate da un simile passato mitteleuropeo e da un destino parallelo di separazione, ma anche dall’aspirazione a rivestire il ruolo di territori simbolo di una nuova identità europea.
Le due città, a seguito di accordi internazionali, furono entrambe “divise” in due parti dopo la Seconda guerra mondiale: Gorizia, tramite una linea di demarcazione artificiale, venne spartita a metà tra Italia e Jugoslavia (la parte slovena diventò Nova Gorica), mentre Görlitz venne divisa, sfruttando la separazione naturale creata dal fiume Neiße, a metà tra Germania (allora Repubblica Democratica Tedesca) e Polonia (la parte polacca diventò Zgorzelec).
Quella separazione che, dopo il 1945 sembrava irrevocabile, mutò però radicalmente con le trasformazioni portate dalla caduta del muro di Berlino e dall’ ingresso di Polonia e Slovenia nell’Unione Europea, e successivamente nei paesi del patto di Schengen, cambiando il carattere fisico e politico dei confini.
Quattro città, due autori, uno italiano e uno tedesco, una ricerca durata tre anni. Due letture diverse che testimoniano i segni di una storia e di un presente di separazione, e di un passato e di un futuro comuni. Kai-Uwe Schulte-Bunert ha prescelto luoghi marginali e disabitati, Fabrizio Cicconi ha indagato il tema attraverso ritratti frontali, quasi a figura intera. Il confine, non si vede. Rimane sullo sfondo, ma naturalmente esiste, soprattutto nella mente delle persone, ed è lì che si è saldamente installato.

Da quali basi prendeva il via il vostro progetto sulle città gemelle di Gorizia/Nova Gorica e Görlitz/Zgorzelec?

FC. Il progetto è nato da un’idea di Kai che ha lavorato a Görlitz e dal fatto che avremmo sempre voluto fare un lavoro a 4 mani. Ci interessava anche l’idea di lavorare su due città con la stessa radice nel nome: Gor/Görz che vuol dire piccola collina con una storia di divisione in comune.

KUSB. Abbiamo cercato un tema che mostrasse l’Europa nel suo insieme e nell’ interdipendenza delle sue parti tramite una storia di confini, una storia che continua ancora oggi. 13 anni fa eravamo in un momento in cui sembrava che tutto stesse migliorando, che i confini si aprissero sempre più, circostanza ormai superata da un’attualità che va in tutt’altra direzione.

Cosa ha significato misurarsi a quattro mani con un tema molto complesso, quello appunto del superamento di limiti e barriere, siano essi geografici, geopolitici, culturali, sociali o anche solo mentali?

FC. La cosa più complessa è forse stata l’organizzazione e trovare i contatti per avere la libertà di muoverci, soprattutto a Gorizia dove non conoscevamo nessuno. Quando abbiamo iniziato il progetto la Polonia e la Slovenia non erano ancora nella comunità europea. Con il passa parola abbiamo poi avuto la fortuna di incontrare persone a Reggio Emilia di origini goriziane, e da li è partito tutto. La parte Slovena Nova Gorica, è stata la più difficile. Per quanto riguarda la parte tedesca/polacca Kai aveva alcuni contatti che ci hanno agevolato il lavoro.

KUSB. Lavorare insieme ci ha stimolato molto. Siamo partiti con la vera convinzione di fare un lavoro molto significativo che riguardava la nostra storia personale, ma allo stesso tempo quella dei nostri rispettivi paesi. Con questo progetto molto complesso, con un contenuto convincente siamo riusciti a trovare fondi che ci hanno permesso di realizzare un libro e diverse mostre in Italia e Germania.

Schulte-Bunert, Görlitz

Fabrizio ha scelto ritratti frontali di persone in posa, quasi sempre incorniciate da un contesto urbano vagamente connotato, Kai ha scelto ritratti urbani, sospesi nel vuoto di una luce atemporale, realizzati in assenza di presenze umane. Come avete proceduto per la realizzazione del progetto e nella suddivisione dei temi?

FC. Io nasco come ritrattista, mentre Kai stava portando avanti un progetto di architettura urbana. La suddivisione dei compiti è stata semplice. Io ho avuto più difficoltà a trovare i soggetti soprattutto a Nova Goriza. Si dovevano prendere appuntamenti precisi e le distanze non aiutavano. Abbiamo fatto alcuni sopralluoghi per individuare i posti e conoscere il territorio. In seguito siamo andati insieme per alcuni periodi nelle 4 città, che variavano da una settimana a 10 giorni circa per realizzare gli scatti.

KUSB. Il contenuto del progetto, che riguardava al tempo stesso un insieme (l’Europa) e allo stesso tempo una divisione, ci ha portato all’idea di applicare questo fatto anche al nostro modo di lavorare.

D. Il confine non si vede mai nei vostri scatti. Per quale motivo?

La città e il confine a vostro avviso esiste solo nell’immaginario di chi la vive e il suo esterno è semplicemente interiorizzato? O avete scelto di lavorare sull’etimologia della parola confine che include il concetto di limen ossia della soglia attraverso la quale si entra ed esce da uno spazio e di limes ossia di cammino che circonda il territorio?

FC. Lo scopo era quello di dimostrare che le limitazioni, i confini sono creati dagli uomini, con la loro ossessione del privato e del possesso. I ritratti vogliono dimostrare che questo confine non esisterebbe se non ci fosse la stupidità umana. Nei ritratti non ci sono differenze di etnia, ma questo non preclude una separazione. Nei paesaggi urbani i confini erano evidenti, in alcune case i muri erano ben delineati e il privato era ben protetto. Il muro di una casa senza finestre è un limen da varcare.

KUSB. Grazie per questa domanda, perché sembra che il confine non appaia, ma in realtà è visibile. Ci sembrava scontato e poco interessante tematizzare il confine come immediatamente percepibile, abbiamo preferito lasciarlo come entità che si manifesta non attraverso la sua materialità e non in primo piano, eventualmente come una banalità sullo sfondo, che però non è fondamentale nella costruzione dell’immagine.

Fabrizio Cicconi

Tutti i luoghi hanno un passato da conservare, ma vi è anche il rapporto con il presente e il futuro. In un momento storico come questo dove l’emergenza Covid 19, oltre alla crisi sanitaria, ha scatenato una enorme crisi economica e sociale, cosa può rappresentare il vostro progetto fotografico?

FC. Il periodo storico in cui ci troviamo è complesso e questa pandemia ci ha messi in isolamento lontano dal contatto umano. Tutto è diventato più virtuale, non ci potremo forse neanche più toccare per un pò di tempo. Ha esaltato alcuni nazionalismi. La speranza è che situazioni di divisione che portano ad un impoverimento dell’uomo come essere senziente, non possano più ripetersi. Siamo un tutt’uno con l’ambiente e dovremmo imparare il rispetto per le cose che ci circondano e per le persone che non sono poi così diverse da noi.

KUSB. Tutti i confini nascono da un’idea di possesso, che spesso deriva da un’esigenza, più o meno reale, di protezione. Ciò però ha un significato vero solo per coloro che speculano sul possesso e sul potere. Per la maggior parte dei popoli in realtà i confini non hanno mai avuto un significato importante o positivo. L’idea di un’identità che dipende da nazionalità, confini e da una teorica protezione, nel corso di secoli è entrata talmente in profondità nelle menti delle persone, che bastano piccole crisi, per farla ritornare d’attualità, sebbene solo poco prima sembrasse un’idea quasi completamente superata. Perciò questa grande crisi causata dal Covid-19 dal punto di vista della pace e dell’apertura tra i popoli è molto pericolosa.

Per approfondire lavori di Fabrizio Cicconi e Kai-Uwe Schulte-Bunert
https://www.fabriziocicconi.it/
http://www.schulte-bunert.com/

 

 

 

 

 

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