Francesco Aliberti_Storie ribelli. Un inno alla libertà

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Francesco Aliberti, editore, giornalista e fondatore della casa editrice Aliberti editore, prosegue  la rubrica Baskerville – Divagazioni sui libri con la recensione di Storie ribelli in ricordo di Luis Sepúlveda.

«La libertà è uno stato di grazia e si è liberi solo mentre si lotta per conquistarla», scriveva Luis Sepùlveda autore di Storie ribelli (Guanda, 2017), un’antologia di racconti autobiografici che ci consegnano il grande scrittore, da poco scomparso a causa del coronavirus, nelle vesti di attivista politico e combattente. A dimostrazione che il fuoco della libertà brucia anche nelle pagine di  letteratura e che l’amore incondizionato verso un ideale si traduce in una delle grandi utopie del Novecento, Sepùlveda in questi scritti ci racconta il “suo” sogno di umanità, scandito da lotte, torture, anni di prigionia, fughe ed esili. Cresciuto in Cile dal nonno anarchico andaluso (scappato in America del Sud da una condanna a morte) e dallo zio (anch’egli anarchico), il giovane Luis forgia la sua tensione alla libertà sui libri di Cervantes, Salgari, Conrad, Melville e già da ragazzo si iscrive alla Gioventù Comunista. Lo spirito di uguaglianza, lotta e anche di avventura, lo portano a sposare da subito gli ideali del Presidente del Cile Salvador Allende, brutalmente assassinato l’11 settembre 1973 nel Palazzo della Moneda di Santiago del Cile, durante il Golpe di Pinochet, quando Antonio Aguirre Vásquez, “patagone eroico”, difende il Palazzo e la sua democrazia sparando con la sua mitragliatrice calibro 30, finché le bombe non cancelleranno completamente la facciata della Moneda, divenuta simbolo di un’epoca che crollava.

È una data simbolo quella dell’11 settembre, il primo 11 settembre con il quale la storia ha fatto i conti, ribaltando i morti, le sorti, gli orientamenti politici, le vite e il destino, umano e letterario, di Sepùlveda e di molti altri scrittori, come Pablo Neruda e José Saramago. L’11 settembre 1973 in Cile, il governo socialista, democraticamente eletto tre anni prima, cadeva con il benestare degli Stati Uniti e della CIA, che appoggiarono il colpo di stato e l’assassinio del Presidente Allende. E Sepùlveda ci fa assistere alla scena, sommersa per decenni, attraverso la testimonianza di Óscar Reinaldo Lagos Ríos, il ragazzo più giovane della scorta di Allende, che rimase con lui fino alla fine. Poi solo arresti arbitrari, torture, isolamento, esili, internamenti, improvvise e misteriose sparizioni. Per diciassette anni. Tanto è durata la dittatura militare di Augusto Pinochet, con la cui morte Sepùlveda mette un punto alla raccolta delle sue Storie ribelli e dei desaparecidos. Morto d’infarto nel 2006, non avendo mai scontato alcuna pena per motivi di salute, pur essendo accusato di crimini contro l’umanità, “il macellaio di Santiago” è solo il più celebre degli impuniti, seguito a ruota dal suo esercito, dai suoi collaboratori, dal silenzio, dalla politica estera.
Anche Sepùlveda è costretto ad abbandonare la sua terra, anche lui è vittima della tortura e del carcere (trascorre sette mesi e mezzo in una cella talmente piccola da non poter stare in piedi o sdraiato) e solo grazie ad Amnesty International la sua condanna all’ergastolo viene commutata in otto anni di esilio. «Chi sa combattere è degno di libertà», scriveva Piero Gobetti, e Sepùlveda, perseguitato dal ricordo dei mille giorni di governo popolare, che lui stesso ha definito «duri, intensi, sofferti e felici», ha continuato a battersi per anni, con la forza della scrittura, contro «l’infame storia dell’infamia», privato della nazionalità cilena, che riotterrà solo nel 2017. Con questo libro l’autore de Il vecchio che leggeva romanzi d’amore e Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare fa i conti con i morti che mancano, con la lista di chi si è schierato, nel bene e nel male, con il sangue che è stato versato, perché una conquista non è mai tale se non è preceduta da una battaglia per ottenerla. 

Storie ribelli è un inno alla libertà, “dolentemente vivo”, di lotta per un’umanità più giusta, e non a caso l’incipit è dedicato proprio a quella fatidica data, in cui Óscar Reinaldo Lagos Ríos, soprannominato “Johny” da Allende (in onore al celebre partigiano di Fenoglio), imbracciò il fucile e fu arrestato, torturato e ridotto in piccole ossa, ritrovate poi in una fossa comune, insieme a quelle degli altri tredici GAP (Grupos Amigos del Presidente) e che da allora e per sempre racconteranno una storia di coraggio e di passione: «Io sono ciò che resta di Óscar Reinaldo Lagos Ríos, ventun anni, nome di battaglia Johny, GAP, assassinato il 13 settembre 1973». 


Francesco Aliberti, nato a Sassuolo nel 1969, vive  fra Reggio Emilia e Roma. Si è laureato in Italianistica a Bologna con Ezio Raimondi. Ha fondato nel 2001 la casa editrice Aliberti editore, dal 2015 Compagnia Editoriale Aliberti. È cofondatore e azionista dal 2009 de Il Fatto Quotidiano. Nel 2011 ha riportato in edicola con Vauro, Vincino e Cinzia Monteverdi la storica testata di satira Il Male di Vauro e Vincino, una bella esperienza durata due anni. In famiglia produce vini lambruschi reggiani e di Sorbara e aceti balsamici. Con la sigla editoriale Wingsbert House ho unito le due passioni confezionando libri e vini insieme. Come giornalista collabora con ilfattoquotidiano.it  scrivendo di cultura, editoria e arti. Nel 2016 ha aperto insieme ai soci editoriali Aliberti Lab, la divisione della casa editrice dedicata alla comunicazione d’impresa e alla promozione di eventi culturali.

www.ibs.it

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