Francesco Aliberti_La timidezza

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Francesco Aliberti, editore, giornalista  e fondatore della casa editrice Aliberti editore, apre la nuova rubrica Baskerville – Divagazioni sui libri con la recensione di La timidezza di Giovanna Axia (Il Mulino).

Elogio della timidezza

I timidi non si sono mai estinti, per fortuna. Lo conferma la psicologa Giovanna Axia nel saggio La timidezza (Il Mulino), in cui ci racconta qualcosa di molto vicino al darwinismo, tornato tristemente di moda, ma al contrario. Il punto di vista prescelto è quindi quello strettamente biologico e la prima scoperta è che i timidi assolvono a una funzione molto importante per il mondo e per la conservazione della specie: la loro prudenza compenserebbe la tirannia dei sicuri di sé, rendendo il mondo un posto sicuro e migliore.
Non è un caso allora che ci sono state epoche in cui la timidezza fosse considerata una virtù. Scrive l’autrice: «Essere timidi è una condizione umana assolutamente normale. Essere timidi è normale come avere gli occhi azzurri o gli occhi neri» e ancora: «Essere timidi può essere svantaggioso, […] ma è un fatto assolutamente normale, sano e soprattutto relativo alla cultura, al luogo e al tempo». Ciò che non è sano, prosegue la psicologa scomparsa nel 2007, già autrice di Elogio della cortesia, è l’intolleranza verso la timidezza, l’intolleranza degli altri e anche la nostra rivolta a noi stessi, in quanto timidi. È molto difficile per i timidi amare la propria timidezza, che è in realtà così amabile: «La timidezza non è una malattia o un handicap da superare con la forza di volontà o con l’auto-convincimento razionale, […] è una condizione umana, una variante vulnerabile, fragile e preziosa dell’umanità. Tutti, in modo più o meno consapevole, sappiamo che la timidezza ha qualcosa di raro e di nobile. Perché altrimenti […] reclameremmo anche per noi tale condizione? Quasi tutti, tranne i veri timidi, sono pronti a dichiararsi timidi».
Loro, i veri timidi, vi troveranno chiarimenti sorprendenti sulla loro personalità, apprezzandone perfino gli aspetti positivi, perché il libro non considera la timidezza come una menomazione, un difetto o qualcosa da dissimulare.
E come ci svela Toni Servillo nel film Le conseguenze dell’amore: «I timidi notano molte cose, ma sono molto bravi a non farsene accorgere». La loro prudenza e il riserbo bilanciano l’imprudenza degli impavidi e l’arroganza degli audaci.
Tutt’altro che perdenti e sprovveduti, quindi, possono essere potenziali leader, persone concrete, che agiscono senza dare troppo nell’occhio.
La storia è piena di grandi personaggi che “soffrirono” di timidezza. Da Abraham Lincoln a Ludwig Van Beethoven, da Luigi XVI a Jean Jacques Rousseau che, invitato a corte da Luigi XV, declinò poiché temeva di far brutta figura. E poi Alessandro Manzoni, inibito dalla balbuzie, che voleva rimanere «lontano da qualsivoglia occasione di linguaggio». Timido fu anche George Bernard Shaw, che disse di aver imparato a parlare in pubblico «continuando ostinatamente a rendermi ridicolo… finché mi sono abituato». Mahatma Gandhi, di professione avvocato, superò la timidezza difendendo i diritti degli immigrati indiani: «La fatica che faccio a esprimermi […] mi ha insegnato a pesare le parole […] La mia timidezza mi è servita da scudo e da difesa».
E Winston Churchill, che a scuola era «tiranneggiato e percosso dai compagni e incompreso dagli insegnanti», fino a quando «a 14 anni […] decisi di impormi un duro tirocinio […] mi esercitavo a pronunciare davanti allo specchio». Per non parlare di Albert Einstein che dichiarò: «Non ho mai sentito la necessità di avvicinarmi agli uomini e alla società». Infine, Re Giorgio VI, schivo e riservatissimo, odiava parlare in pubblico perché affaticato dalla sua balbuzie. Ma, come racconta il film Il discorso del re, grazie al logopedista riuscì a vincere l’ardua sfida di leader del Regno Unito. E come non ricordare, infine la “paranoica timidezza” di Carlo Emilio Gadda raccontata nel libro di interviste Per favore mi lasci nell’ombra, uscito per Adelphi?
La timidezza, quindi, che è stata capace di conservarsi nei secoli, contribuendo a migliorare il genere umano e arrivando fino a oggi – in cui l’ affermazione di sé coincide con il successo a ogni costo e il numero di like e followers sui social networks – probabilmente ci salverà.

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Francesco Aliberti, nato a Sassuolo nel 1969, vive fra Reggio Emilia e Roma. Si è laureato in Italianistica a Bologna con Ezio Raimondi. Ha fondato nel 2001 la casa editrice Aliberti editore, dal 2015 Compagnia Editoriale Aliberti. È cofondatore e azionista dal 2009 de Il Fatto Quotidiano. Nel 2011 ha riportato in edicola con Vauro, Vincino e Cinzia Monteverdi la storica testata di satira Il Male di Vauro e Vincino, una bella esperienza durata due anni. In famiglia produce vini lambruschi reggiani e di Sorbara e aceti balsamici. Con la sigla editoriale Wingsbert House ho unito le due passioni confezionando libri e vini insieme.Come giornalista collabora con ilfattoquotidiano.it  scrivendo di cultura, editoria e arti.Nel 2016 ha aperto insieme ai soci editoriali Aliberti Lab, la divisione della casa editrice dedicata alla comunicazione d’impresa e alla promozione di eventi culturali.

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