Bestiario reggiano #3

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Noi siamo Giulia Manenti e Lucia Vecchi, siamo reggiano-casinesi ma da tanti anni viviamo a Barcellona, in Spagna. In questi strani giorni di primavera vorremmo condividere con voi le storie e le figure del nostro libro-gioco, che si chiama “bestiario reggiano”. Ogni settimana pubblicheremo una pagina del bestiario, con un’immagine e una storia. Il bestiario è per noi un progetto molto personale: vorremmo provare a condividere non solo il contenuto di ogni pagina, ma aggiungervi ogni volta altre immagini, musiche, o parole che aiutino a descrivere l’immaginario che le avvolge. Speriamo che vi piaccia!

bestiario reggiano è una raccolta di figure, espressioni e aneddoti del nostro territorio, ed è anche un gioco. Ci sono soprattutto animali, ma anche oggetti e personaggi. Si nutre di parole dialettali legate a diverse zone del reggiano e le mescola in ordine sparso.
bestiario reggiano racconta storie e vuole stimolare a raccontarne altre.
Il bestiario reggiano è pubblicato da corsiero editore, il progetto grafico è di
 studio bif (Giulia Manenti e Lucia Vecchi).

www.studiobif.com instagram@studiobif
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Bida

La bida in mezzo ai libri

bida s.f. Sterco di mucca.
Pistar ’na bida, fare una gaffe.

Mi veniva a trovare dei giorni il mio amico Gago. Veniva sempre con la sua seggiola da campeggio, perché a lui piaceva star seduto nel suo. Quando mi veniva a trovare portava sempre anche un formaggino di capra, che mangiavamo insieme mentre si parlava dell’anarchico Enrico Zambonini. Lui e il mago Baruk erano i più esperti e fini conoscitori della vita dell’anarchico Zambonini che era vissuto in Francia e in Belgio e aveva fatto un pezzo di guerra civile spagnola, dove i franchisti gli avevano quasi staccato una mandibola e poi l’avevano mandato a Ventotene e da lì dopo l’8 settembre era tornato in appennino a casa sua a Secchio e poi aveva perso le scarpe al poligono di tiro di San Prospero Strinati a Reggio Emilia, alla fine di gennaio del ’44.

Gago mi parlava spesso anche della bida, che poi nel suo dialetto lui chiamava biuda e diceva che allevare gli animali la cosa più difficile è proprio capire come smesdare e gestire la bida, o meglio la biuda. Ma poi iniziava a fare anche un altro tipo di ragionamento che allargava di molto gli orizzonti del discorso e in questa sua filosofia della bida Gago sosteneva che quella vera, quando la incontri, non senti subito la puzza che fa e manda e siccome non la senti, può succedere che sei immerso nella bida fino al collo e pensi che vada tutto bene. Come succede al mondo di adesso, diceva Gago. Allora, continuava lui, bisogna stare attenti a quella biuda lì invisibile, che poi era anche quella che aveva fregato l’anarchico Zambonini.

Un giorno poi il mago Baruk mi era venuto a trovare a scuola e mi aveva portato tutto contento un foglio grande come un manifesto da morto, tutto bordato in nero e viola, sembrava davvero un manifesto da morto e invece era un giornale che avevano deciso di fare lui e Gago e che si chiamava la bida, anzi più precisamente La Biuda, e parlava solo di quella invisibile, la più pericolosa di tutte.
(Questo racconto breve è stato scritto per il bestiario reggiano da Emanuele Ferrari)

Il senso della bida

La bida in castellano, cambiando la b con v, vuol dire vita, una coincidenza di quelle che ci piacciono. La funzione del letame, quella di arricchire i campi di minerali e sostanze nutritive, per far sì che cresca altra vita vegetale, può essere associata alla speranza, alla continuità, alla trasformazione della materia al servizio della vita. Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fiori. In realtà l’idea di associare la bida alla speranza è stata un po’ una provocazione, anche se si dice che: “pestare una bida porta fortuna”. La forma della bida ha ispirato anche Chicco Salimbeni, attore e regista delle nostre montagne, per creare le merendine “Dobra Sgnobra”. Il corto omonimo è stato girato nell’ Appennino Reggiano nell’anno 1996. Qui il link:

Dobra Sgnobra di Chicco Salimbeni, 1996

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