Costruire maschere per entrare in relazione con la natura

2445
0
Condividi:
DEM

Una conversazione con l’artista urbano DEM
A cura di Stefania Carretti

La maschera, il travestimento, i totem, sono serviti nelle culture primitive per cercare un contatto, una simbiosi, con la natura, per esorcizzare carestie, calamità, paure. Paure che derivano appunto da una natura che non riusciamo a comprendere e quindi a controllare fino in fondo, una Natura Non Domestica, per usare il titolo della mostra a cui DEM, al secolo Marco Barbieri, ha partecipato la scorsa estate con un’opera site specific per il giardino di Spazio Gerra, a cura di Valico Terminus. In che misura nella nostra civiltà post-industriale questo effetto taumaturgico della maschera possa ancora essere valido ce lo spiega DEM in un’intervista raccolta lo scorso 21 novembre durante la sua performance all’interno della preview online a Spazio Gerra di Mediaterrae Aemilia. Esperienze di ruralità futura. “Viviamo in una condizione di paura legata all’ignoto e a quanto ci sta succedendo da un anno a questa parte. Indossare una maschera e trasformarsi in qualcosa di più rispetto a quello che siamo abituati ad essere, non tanto un supereroe ma in una sorta di io potenziato, può aiutare a sentirsi più forti e a sconfiggere le paure che stiamo vivendo in questo momento storico.”
Artista urbano eclettico ed estremamente attento alla relazione con i fruitori delle sue opere, DEM è noto soprattutto per i suoi interventi sul tanti muri delle città italiane. Ma il suo lavoro – che siano installazioni in ambienti naturali, video, ceramiche, maschere, disegni o graffiti – presenta un complesso intreccio di elementi naturali e riferimenti ancestrali che rimandano ad un fondamento comune a tutte le culture.

Le tue maschere, così come tante tue opere, mi sembra attingano ad una pluralità di culture. Studiandole e interpretandole, ti sembra che ci sia qualcosa che le accomuna?

Sicuramente le accomuna il modo in cui l’uomo si relaziona alla natura. In tutto il mondo, soprattutto in passato, il rapporto uomo-natura era molto forte e ogni cultura aveva i propri culti e riti agrari che segnavano ad esempio il passaggio delle stagioni. L’uso rituale della maschera costituiva una sorta di minimo comune denominatore tra le culture, oggi sopravvissuto principalmente dove il rapporto con la natura è più forte, in Italia ad esempio su certe isole o parti dell’arco alpino. Dove si vive più isolati e la forza della natura si fa sentire maggiormente le maschere, così come i costumi tradizionali continuano a vivere e a scandire i riti di passaggio, quali il diventare adulti o il matrimonio – riti di cui è rimasto un labile segno anche nelle nostre culture.

Tu lavori con diversi materiali, tecniche e linguaggi, tutti però accomunati da una ricerca di interazione con gli spazi pubblici (e quindi con il largo pubblico). Come hai iniziato a costriure maschere e che ruolo assumono all’interno del tuo lavoro complessivo?

Il mio rapporto con le maschere è di lunga data, nasce dalla fascinazione susictata in me dalle maschere africane che i miei genitori avevano in casa e che mi piaceva osservare o con cui giocavo da bambino.
Il vero e proprio lavoro con le maschere inizia però con un fatto preciso: durante un bagno nel fiume Trebbia, vicino a Piacenza, ho recuperato un oggetto particolare nel quale ho intravisto le sembianze di una maschera. Si trattava di parte del tronco e del basamento di un albero, cui ho poi fornito un ruolo nel mio film Supranatura, dove il mio personaggio esce dall’acqua con addosso questa maschera.
La maschera ti fornisce tante identità, ti fa sentire un essere soprannaturale. La uso nei miei film e nelle mie installazioni per creare personaggi che fuoriescono dai luoghi stessi, che sono in grado da dare all’uomo un’identità altra, di elevarlo verso una condizione super-naturale. All’inizio usavo solo materiali naturali: una maschera l’ho assemblata con le piume raccolte durante le mie camminate, un’altra solo con licheni. In seguito ho iniziato a usare anche i tessuti.

Che cosa succede quando si indossa una maschera? Come cambia, se cambia, la percezione di sé e di quanto ci sta intorno?

Succede che ci si trasforma in qualcosa d’altro, magari qualcosa che sognavi soltanto. Le ragioni per indossare una maschera erano molteplici, di solito per riuscire a sconfiggere entità maligne, soprannaturali, avversità della vita, legate alla morte, ai fenomeni naturali, ai riti di passaggio. Nella nostra società di oggi la maschera è intesa come qualcosa di più subdolo, qualcosa che si indossa per guadagnarsi qualcosa. In passato si trattava invece di un fenomeno legato alla magia, ad atti eroici, al trasformarsi in qualcosa di più forte.
Ecco, questo dovrebbe succedere quando si indossa una maschera: diventare più forti.

C’è oggi secondo te un nuovo bisogno di natura e in un certo senso anche di magia?

Il bisogno di magia c’è sempre stato, ma in quest’ultimo anno è diventato ancora più forte, e ciò è da mettere in relazione con il fatto che ci sono una serie di fenomeni che non riusciamo a spiegarci. A ben pensarci anche le più assurde teorie complottiste, purtroppo d’attualità, e che vanno ben al di là della magia, esprimono questo bisogno di risposte a ciò che non sappiamo spiegarci.
D’altra parte però molti hanno iniziato a capire che stare nella natura fa bene. Si vive meglio quando si riesce ad avere un rapporto più ravvicinato con la natura. Ed è proprio all’interno di questo rapporto che si instaura con la natura, standoci dentro e vivendola, che si crea una magia. Da lì si può iniziare a immaginare una natura altra.
Nei miei film, come nelle mie installazioni, la funzione della maschera è legata al genius loci, all’apparizione dello spirito del luogo. Per ogni opera uso oggetti naturali recuperati in situ, nel tentativo letterale di materializzare e dar forma a quel particolare genius loci.
L’effetto miracoloso è semplicemente quello: iniziare a ri-trasformarsi in qualcosa di naturale, anche solo con una maschera. Questa è la strada per riavvicinarsi alla natura e trarne giovamento.
C’è bisogno di credere che stando più a contatto con la natura, vivendola, riusciamo comprenderla meglio, a farne parte e quindi, speriamo, anche a far sì che ci protegga perché noi cerchiamo di proteggerla e di starle più vicino.

Il prossimo appuntamento con DEM è per il prossimo maggio, quando realizzerà un’installazione con materiali naturali all’interno degli Orti di Santa Chiara, il giardino dietro Spazio Gerra, connettendosi al primo lavoro in bambù dello scorso anno.

Guarda l’intervento di DEM per la costruzione di una maschera in occasione di Mediaterrae Aemilia. Erperienze di ruralità futura:

Per approfondire:

Su DEM

Instagram/demdemonio
www.demdemonio.org

Su Mediaterrae Aemilia. Esperienze di ruralità futura

MEDIATERRAE AEMILIA. Esperienze di ruralità futura


Foto in copertina di Oliviero Crippa

 



Torna al menù Focus Cultura

Condividi: