Le acciughe fanno il pallone

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di Silvia Chicchi
Responsabile delle Collezioni Naturalistiche
dei Musei Civici di Reggio Emilia

“Le acciughe fanno il pallone, che sotto c’è l’alalunga”, cantava Fabrizio de Andrè, esortando il pescatore: “se non butti la rete non te ne lascia una!”.
Ignaro delle reti dei pescatori, il percorso evolutivo delle acciughe, in eterna fuga dalla voracità dei tonni, ha sviluppato una strategia difensiva in cui l’azione collettiva è elemento fondamentale. Raggruppandosi in un banco compatto di forma sferica e nuotando rapidamente con sincronia di movimento e repentini cambi di direzione, le acciughe disorientano il predatore. Le loro squame sono ricoperte da minuscole lamelle rifrangenti che riflettono o assorbono in modo differenziale alcune lunghezze d’onda. Per questo le acciughe appaiono alternativamente bianche, argentee o grigio scure: il gioco di luci che si viene a creare sui loro corpi rende l’insieme simile ad una unica massa metallica e per il tonno è praticamente impossibile puntare lo sguardo su un unico individuo.Simile strategia è adottata dalle zebre: il manto a righe bianche e nere di decine di individui in movimento confonde le sagome dei singoli e disorienta il predatore.
Nel mondo animale l’agire collettivo è spesso adottato come strategia di difesa e gli erbivori, che rivestono loro malgrado il ruolo di prede, tendono a raggrupparsi in mandrie numerose. Se gli zoccoli delle zebre o le zanne di un gruppo di cinghiali possono scoraggiare i predatori, spesso il branco è una difesa passiva, la cui arma di sopravvivenza è la fuga in massa: la vittima, inevitabilmente, ci scappa, ma mors tua vita mea… il singolo ha più probabilità di scamparla stando nel branco che rimanendo isolato.

La cooperazione tra individui assume invece connotati più strutturati tra i predatori. Un classico esempio è il branco di lupi, caratterizzato da una rigida gerarchia, in cui ogni rango ha un suo compito: il rispetto dei ruoli tutela ogni membro e garantisce il funzionamento e la conservazione del gruppo. Il lupo solitario ha meno probabilità sopravvivere a lungo.

Anche tra i leoni l’organizzazione del branco è la strategia vincente. Le leonesse e i giovani maschi collaborano nella caccia, catturando in collaborazione prede anche di grandi dimensioni, per sfamare tutti i membri. I maschi adulti guidano gli spostamenti, dirimono i conflitti interni e proteggono da minacce esterne. Ma per assicurare la coesione del branco l’evoluzione ha messo in atto anche strategie di contenimento dei conflitti: tra le altre, le femmine sincronizzano l’estro in modo che, se nel branco ci sono più maschi, ognuno abbia la possibilità di accoppiarsi, limitando le rivalità. In questo modo esse partoriscono contemporaneamente e collaborano nell’allevamento dei cuccioli, che accettano di farsi allattare da qualsiasi femmina del branco e viceversa. La struttura è così importante che quando un capobranco viene a mancare il gruppo spesso si sfalda. E siccome i cacciatori mirano quasi sempre ad uccidere i maschi adulti, trofei più prestigiosi, la morte dei leader lascia il branco indifeso e comporta, per riflesso, la morte dei suoi individui più deboli, in particolare i cuccioli.

Ma il senso dell’agire collettivo, nel mondo animale, trova la sua massima espressione negli insetti sociali, api, formiche, termiti: specie che vivono in società organizzate, suddivise in caste, nelle quali i singoli individui operano in funzione delle necessità collettive, interagendo con sofisticati sistemi di comunicazione. Le colonie di formiche o di api sono qualcosa di diverso e di più della semplice somma delle loro parti, in quanto garantiscono funzioni che le singole formiche o le singole api, o ciascuna delle categorie in cui sono suddivise, non sono in grado di svolgere. Una colonia può quindi essere definita un super-organismo, entro cui gli individui possono essere paragonati alle cellule di un organismo complesso.

Le formiche popolano la Terra, collaborative ed operose, da oltre 150 milioni di anni . Il loro modello di società, autorganizzata e senza centro di comando, ha passato indenne grandi estinzioni e cambiamenti climatici. Evidentemente funziona.

Quando riferiti al genere umano i termini ‘gregge’ e ‘branco’ assumono non di rado una accezione negativa.
Con il termine ‘gregge’ si allude alla scarsa autonomia di pensiero e di azione, al conformarsi passivamente al comportamento dei più. Ma se ne riscopre la funzione di difesa collettiva quando, nei confronti di un virus, si auspica l’immunità “di gregge”. Il singolo è protetto se circondato da altri individui che, per aver superato l’infezione o per vaccinazione, hanno sviluppato anticorpi. Se la popolazione immune è consistente, il virus non ha modo di propagarsi, e il gregge vince.
‘Branco’ al contrario è spesso sinonimo di gruppo autoreferenziale, di aggressività fuori dalle regole, e questo fa un torto alla organizzata collaborazione, alla efficiente suddivisione dei ruoli nei branchi di mammiferi, rivolta alla sopravvivenza non solo del gruppo, ma dei singoli individui, i forti come i deboli, e della specie.

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