La poesia rifulge nel frammento_Franco Berardi

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di Franco Berardi

A Bologna, dove vivo, si è costituito da qualche tempo un movimento per l’emancipazione della poesia. Non ho idea di chi siano, non li conosco. Ma li immagino, naturalmente, ad uno ad uno.
Che fanno questi svitati di emancipatori della poesia? Attaccano dei fogli A4 sui muri cittadini, e su ciascun foglio c’è una piccola poesia.
Talvolta bellissima, talvolta meno, ma chi sono io per giudicare la poesia?
In alcuni quartieri della città questi foglietti rimangono così esposti alla pioggia ed al sole, intatti però, e pieni di parole.
Ce n’è uno poco lontano da casa mia, in via Goito, che dice:
“Ho lasciato fuori la spazzatura
c’erano i resti della cena,
le scadenze non rispettate,
la mia pigrizia.
Ho incartato tutta la mia gratitudine per il sole
senza stropicciarla troppo.
L’ho avvolta di pazienza carta velina e bucce d’arancia.
Ci ho messo il sottofondo del televisore
che fa compagnia di notte
il libro che non finisco mai sul comodino,
ci ho messo tutto l’amore per i lampioni gialli
la mattina a piazza Marina
il pane al cioccolato.
Ho lasciato fuori la spazzatura con tutte le emozioni
con cui ho giocato a vivere
credendo per un secondo
di poterla tenere per sempre.”
Lo so lo so che non dovrei parlare di Bologna, ma di Reggio Emilia, ma sempre di manifesti si tratta, e sempre di poesia. Strappati, certo, manifesti strappati volevo dire. E la poesia che vi ho appena detto è tutta bella attaccata al muro, integra, pulita, spiaccicata lì sul muro marroncino.
Ma in altri quartieri no. In altre strade ci abitano cittadini forse amanti dell’ordine o detestatori intemerati della poesia che strappano il foglietto A4 certo con rabbia con le loro unghiette.

E allora in vicolo Posterla c’è un foglietto che recita così:

“Poet
imprta
e ti sc  ivo?
m  oetico
h  nte
n  i  occhi
ali ribuivo ma
tue bbra
par onavo
ros  che  luto ricevere.
so stata  fo
e t  ilegge, come fossi mio.”

I cittadini amanti dell’ordine forse non lo sanno, ma la poesia se ne frega degli strappatori.
Sì, la poesia rifulge nel frammento, brilla come promessa di amori inimmaginabili e doloranti cuori.
Tutti ricordano naturalmente Mimmo Rotella (cosa lo dico a fare?) un pittore che, nato a Catanzaro girava il mondo per strappare coloratissimi manifesti altrui. La sua arte consisteva in questo: nel suscitare accostamenti impensati grazie all’arte dello strappamento.
Rotella strappava manifesti negli anni ’60 e ’70, anni ingenui diciamo, anni in cui si credeva che alla fine in fondo in fondo una coerenza il mondo ce la doveva avere, e prima o poi magari fra tanto tempo potremo vedere libertà e uguaglianza albeggiare nel mondo.
Ora sappiamo che non accadrà mai, sappiamo che non c’è alcuna speranza di un futuro migliore, sappiamo che forse questo è il tempo in cui l’abisso ci inghiottirà definitivamente, anzi per essere precisi ci sta già inghiottendo.
Eppure ci sono poeti.
Essi strappano, talora, e tal’altra sono strappati.
Adoro i poeti strappati.

Ad esempio in vicolo Posterla c’è un foglietto su cui si legge:

“Il sole quando scende

Rico

E”

E invece in via Goito c’è un foglietto lindo lindo che dice:

“Mi osservi nuda
di spalle.
So che ti piace
il mio mandolino
lo trovi così bello
che ti rende allegro
sorridente e birbantello.”
Ecco, stamattina mi sono svegliato di pessimo umore, anzi per essere del tutto sincero ho pensato se sarebbe meglio per me impiccarmi con una bella corda al balcone qui, che dà sulla piazzetta, oppure se sia meglio ingerire una quantità eccessiva di pillole calmanti per calmarmi ben bene e per sempre.
Però ci sono questi frammenti rifulgenti di pubblicità strappata che non è più pubblicità ma finalmente pittura, finalmente poesia.
Finalmente poesia.
Finalmente.

 

Foto © Renza Grossi

 

 

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