Dust Bowl: l’ambiente in polvere

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di Silvia Chicchi
Responsabile delle Collezioni Naturalistiche
dei Musei Civici di Reggio Emilia

In città sono da poco arrivati i rondoni, nel silenzio di questi giorni è facile coglierne i garriti e alzare gli occhi per vederli sfrecciare. Il loro volo ci riporta all’incredibile viaggio di migliaia di chilometri che questi uccelli, del peso di 50 gr scarsi, hanno affrontato dall’Africa subsahariana a Reggio Emilia (e alcuni arriveranno in Scandinavia). Un volo che ha implicato, tra le varie difficoltà l’attraversamento del deserto del Sahara, un ostacolo che progressivamente si estende, inghiottendo nuove terre.

La desertificazione è uno degli scenari che aleggiano come una minaccia su vaste aree del globo. Una minaccia che, nella fertile pianura padana sembra destinata ad altri luoghi, altre persone. Ma l’intenso sfruttamento agricolo dei suoli, le arature profonde che modificano la stratigrafia del terreno creatasi nei millenni, la diffusione di colture che ne depauperano la fertilità, la scomparsa di prati stabili, coperture arboree e siepi, l’impoverimento di nutrienti, rendono il nostro suolo vulnerabile, particolarmente in caso di episodi protratti di siccità e di eventi estremi legati al cambiamento climatico in atto.

D’altronde non è lontano nel tempo un esempio di come la gestione poco avveduta di un territorio possa in breve tempo trasformare una regione ad elevata produttività agricola in una landa desolata.

E’ il caso del Dust Bowl, il “catino di polvere” delle Grandi pianure americane: nel corso di un decennio, tra il 1930 e l’inizio della seconda guerra mondiale, in una vasta area degli Stati Uniti centrali, milioni di ettari di suolo vennero spazzati via da catastrofiche tempeste di polvere in quello che è stato definito il peggior disastro ecologico provocato dall’uomo nella storia degli USA.

La buona resa economica del grano, il basso prezzo delle terre, incentivi federali, accompagnati da anni di buone precipitazioni, erano stati i fattori che avevano spinto migliaia di persone a stabilirsi nelle pianure di Oklahoma, New Mexico, Texas, Colorado, e a trasformare le estese praterie, un tempo abitate dal bisonte, in distese di grano e pascoli per l’allevamento del bestiame.

Tuttavia, la dissennata ed estesa introduzione di pratiche di aratura profonda, l’eccessiva pressione del bestiame al pascolo, la scomparsa del manto erboso che proteggeva il terreno e ne manteneva l’umidità, resero il suolo vulnerabile all’erosione creando le premesse per una catastrofe ambientale.

Quando nel 1930 subentrò un periodo di scarse precipitazioni e siccità (che sarebbe durato diversi anni), ebbe inizio una serie di apocalittiche tempeste, chiamate ‘black blizzards’: nubi di polvere alte fino a 3000 metri, spinte da venti che potevano raggiungere i 120 km orari. Gli episodi si susseguirono negli anni con sempre maggiore frequenza (anche 70 tempeste in un solo anno) e violenza, trasformando i campi coltivati in un inferno di polvere e sabbia e costringendo la popolazione, ridotta alla fame, ad una epica migrazione verso la costa occidentale lungo la Highway 66, che sarà immortalata nelle intense fotografie di Dorothea Lange e nelle pagine del romanzo “Furore”, di Steinbeck.

Punto culminante, e di svolta, fu la tempesta del 14 aprile 1935, giorno noto come “Black Sunday”. Ad una mattinata serena e limpida fecero improvvisamente seguito forti venti da nord che alimentarono un’imponente nube nera di polvere che fece sprofondare nel buio e ricoprì case e paesi, raggiungendo la costa orientale degli USA e la capitale, spazzando via, si stima, qualcosa come 300.000 tonnellate di suolo.

Questo evento accelerò la presa di coscienza del problema e già due settimane dopo l’amministrazione del presidente Roosevelt istituì il Soil Conservation Service, che operò per ripristinare l’equilibrio ambientale, introducendo tecniche agrarie conservative, migliore efficienza irrigua, rotazione delle colture, valorizzazione dei prato-pascoli naturali. L’emergenza aveva infine riportato l’attenzione sugli impatti che l’uomo ha sul territorio e sull’importanza di una corretta gestione e conservazione della risorsa suolo. Ma alcuni stimano che in un decennio 30 bilioni di tonnellate di uno dei suoli maggiormente ricchi di nutrienti al mondo sia stata dispersa per sempre.

 

Il momento che stiamo attraversando porta inevitabilmente a riflettere sul concetto di fragilità. La nuova percezione della debolezza delle nostre sicurezze, del nostro modello di vita, si sommano alla crescente consapevolezza del delicato equilibrio del clima e del nostro ambiente, dell’aria, dell’acqua, della biodiversità.

Tra le tante fragilità naturali quella del suolo è forse la meno ricordata e meno compresa, conosciamo il dissesto idrogeologico, constatiamo ogni giorno l’enorme consumo di suolo legato all’estendersi delle aree edificate e cementificate. Ma c’è qualcosa di più. Per capire meglio bisogna ricordare che il suolo è “il sottile – aggettivo che porta in sé un’idea di vulnerabilità – strato superiore della crosta terrestre, costituito da componenti minerali, organici, acqua, aria e organismi viventi. Rappresenta l’interfaccia tra terra, aria e acqua e ospita gran parte della biosfera. Visti i tempi estremamente lunghi di formazione del suolo, si può ritenere che esso sia una risorsa sostanzialmente non rinnovabile. Il suolo ci fornisce cibo, biomassa e materie prime; funge da piattaforma per lo svolgimento delle attività umane; è un elemento del paesaggio e del patrimonio culturale e svolge un ruolo fondamentale come habitat e pool genico (da “Strategia tematica per la protezione del suolo” COM(2006)231 definitivo).

Non a caso Jared Diamond, nel suo libro “Collasso. Come le società scelgono di morire o di vivere”, in una analisi delle pratiche attraverso le quali le società del passato hanno giocato la propria sopravvivenza, colloca ai primi due posti: “deforestazione e distruzione dell’habitat; gestione sbagliata del suolo, con conseguente erosione, salinizzazione e perdita di fertilità”.

Il suolo è vitale, imprescindibile supporto alla vegetazione e alle produzioni agricole, che costituiscono la fonte dell’alimentazione, e della sopravvivenza, di una popolazione mondiale che sfiora gli 8 miliardi di individui. Una risorsa limitata, il cui impoverimento e degrado non sono prontamente recuperabili, e quindi preziosa.

Già Galileo Galilei ne era consapevole, quando scrive:

E qual maggior sciocchezza si può immaginar di quella che chiama cose preziose le gemme, l’argento e l’oro, e vilissime la terra e il fango? e come non sovviene a questi tali, che quando fusse tanta scarsità della terra quanta è delle gioie o de i metalli piú pregiati, non sarebbe principe alcuno che volentieri non ispendesse una soma di diamanti e di rubini e quattro carrate di oro per aver solamente tanta terra quanta bastasse per piantare in un picciol vaso un gelsomino o seminarvi un arancino della Cina, per vederlo nascere, crescere e produrre sí belle frondi, fiori cosí odorosi e sí gentil frutti?”

(Galileo Galilei, Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo)

Link utili:

Isprambiente – Suolo e territorio

Regione emilia romagna – Conoscere il suolo

Wired – Italia a rischio desertificazione

Documentario “Black Blizzard” (inglese con sottotitoli)

Documentario Black Sunday (inglese con sottotitoli)

Documentario Weather History: 1935 Black Sunday Dust Storm (inglese con sottotitoli)

 

 

Sito internet: www.musei.re.it
Pagina Facebook: @museicivicire
Instagram: museicivicire

In copertina Tempesta di polvere in Texas, 1935

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